LA PSICANALISI SECONDO
|
|||
"TU PUOI SAPERE IN MODO NON CATEGORICO"
|
|||
E' infatti proprio dello statuto dell'infinito di non essere compreso da me, che sono finito. Cartesio, Meditazioni metafisiche III. Questa è una pagina di servizio, richiamata dalle pagine del sito in cui compaiono i termini "categorico" o "categoricità" (in inglese categorical) , "completo" o "incompleto". In un certo senso la pagina riassume e dichiara le mie posizioni epistemiche e, perciò, può servire a comprendere le altre. Se vuoi la puoi intendere come “manifesto” del sito, che illustra un possibile approccio scientifico alla psicanalisi, intesa come scienza del sapere incompleto o scienza dell'ignoranza. (Vedi la pagina Qui spiego il significato della parola "categorico", intesa in senso tecnico, diverso dal senso comune o dal senso filosofico, che grosso modo la intendono come equivalente di "concettuale", "univoco" e persino "tassativo". Inoltre do un primo abbozzo del rapporto tra "completezza" e "categoricità". "Richiedere che una teoria sia categorica (nel senso introdotto da J. Dewey ma per la prima volta usato in senso matematico da O. Veblen in un suo lavoro del 1905) significa richiedere che tutti i suoi modelli siano isomorfi tra di loro, abbiano cioè la stessa struttura" (C. Mangione e S. Bozzi, Storia della logica. Da Boole ai nostri giorni, Garzanti, Milano 1993, p. 371). (Chi abbia qualche familiarità con la combinatoria dei quattro discorsi di Lacan, può intendere il termine "categorico" come corrispettivo del discorso del padrone, dove il significante principale (S1) agisce determinando univocamente il sapere dell'Altro (S2)). Esempio principe di struttura categorica è la geometria euclidea. Comunque la si presenti, essa rimane fondamentalmente se stessa. Non esistono due geometrie euclidee diverse. Esistono al più geometrie non euclidee, che tuttavia tardarono a venire alla luce, data l'ortodossia che gli Elementi di Euclide hanno imposto e l'autoritarismo dogmatico che, dall’alto della loro perfezione formale, hanno esercitato nei secoli sull'intelligenza matematica, fino a inibire lo sviluppo della nozione di numero, soverchiandolo con la nozione di grandezza. (Cfr. in proposito Carl Benjamin Boyer, Storia del calcolo e il suo sviluppo concettuale (1949), a cura di Angelo Guerraggio, Bruno Mondadori, Milano 2007). La geometria euclidea è fondamentalmente aristotelica. Dà corpo alla metafisica classica dell'Uno, ideale di conoscenza perfetta, senza ambiguità e senza lacune, in quanto retta dal principio di ragion sufficiente. ("Nessun fatto può essere vero o esistente e nessuna proposizione vera, senza che vi sia una ragione sufficiente perché sia così e non altrimenti, per quanto queste ragioni il piú delle volte non possano esserci conosciute". Leibniz, Monadologia, 32) Per fortuna è solo un ideale. (La geometria come conoscenza ideale è un topos della fenomenologia, intesa come eidetica o scienza delle essenze. Cfr. E. Husserl, Crisi delle scienze europee §§ 8,9). Se tutto il sapere fosse euclideo, non ci sarebbe posto né per la scienza in generale né per la psicanalisi in particolare. Come mostra bene la geometria euclidea, una teoria categorica è conclusa in sé e, in un certo senso, sterile. Non produce nuove teorie, perchè tutto il potenziale teorico è rivolto a se stessa. Non potrebbe, quindi, ospitare il criterio di verità, inteso come fecondità di nuove verità, qui adottato e proposito della psicanalisi. Ovviamente, se esistono almeno due modelli non equivalenti tra di loro, la teoria è non categorica. Nel sito il riferimento costante è alla teoria dell'infinito attuale (o proprio, secondo Cantor), contrapposto all'infinito potenziale (o improprio, secondo Cantor). La teoria cantoriana è non categorica. Infatti, si possono esibire due modelli non isomorfi di infinito, per esempio il modello di infinito numerabile (della serie dei numeri interi) e il modello di infinito continuo (degli intervalli di numeri reali o segmenti di retta). La dimostrazione che l'insieme dei numeri interi è un infinito diverso, precisamente "inferiore" rispetto all'infinito dei numeri reali, si fa con il metodo diagonale, inventato da Cantor nel 1890. Si tratta di una generalizzazione della dimostrazione per assurdo, di cui riporto la presentazione di Mangione e Bozzi nel testo citato (ivi, pp. 312-313). Dovrebbe essere accessibile anche allo psicanalista di formazione umanistica. Per chi volesse approfondire i rapporti tra infinito e terzo escluso, può soddisfare la propria curiosità alla pagina Per quanto riguarda le considerazioni epistemiche svolte in questo sito, la non categoricità è più importante della categoricità per due ragioni. Una prima ragione è negativa: la non categoricità toglie dal tavolo della scienza considerazioni intorno alle essenze e alla loro determinazione concettuale. Se una teoria ha più modelli non equivalenti, non è possibile determinarne l'essenza in modo univoco. Una seconda ragione è positiva: la non categoricità permette di cominciare a pensare un carattere specifico della scienza moderna e comune a tutte le sue varianti (o modelli): l'incompletezza e la fecondità. "E' chiaro, infatti, che sotto ragionevoli ipotesi, la categoricità implica la completezza, ma non è ovvio, e anzi una volta precisati i termini, si può stabilire che non vale il viceversa" (Ivi, p. 377). A sua volta la fecondità è figlia dell'incompletezza. Una teoria completa non ha più nulla di nuovo da produrre né da proporre. A questo proposito ricordo che per completezza semantica (o adeguatezza) si intende la proprietà per cui tutte le espressioni valide sono teoremi della teoria, cioè deducibili a partire dagli assiomi della teoria, applicando le regole prestabilite per la deduzione. (Il viceversa, cioè che tutti i teoremi siano espressioni valide è il metateorema di coerenza). La completezza stabilisce l'equivalenza dei piani sintattico (o della deduzione) e semantico (o dell'interpretazione) di una teoria. Dobbiamo a Gödel due illuminanti teoremi sui rapporti tra questi due piani. Essi, infatti, risultano equivalenti nella logica dei predicati di primo ordine (teorema di completezza della logica predicativa di primo ordine, 1930), ma non sono equivalenti nell'aritmetica ordinaria, se questa è coerente (teorema di incompletezza dell'aritmetica, 1931). Secondo il teorema di incompletezza esistono enunciati veri che non sono dimostrabili. Tipicamente è "congetturalmente" vera, ma non dimostrabile al suo interno, la coerenza dell'aritmetica. Oggi si conoscono diversi enunciati aritmetici veri ma non dimostrabili in un'aritmetica finitaria, che non faccia, cioè, ricorso a un assioma forte dell'infinito. Vedi per esempio Questo è il fondamento "logico" (non mitologico né eziologico) dell'esistenza della freudiana "rimozione primaria" (Urverdrängung), per cui esistono e esisteranno sempre espressioni vere ma non ancora accessibili all'analisi. La rimozione primaria è essenziale per comprendere la nozione di inconscio freudiano. Essa stabilisce l'inconscio su un'impossibilità di fondo, che non si può togliere neppure con un'analisi infinita. In termini tecnici, si dice che l'inconscio è "essenzialmente incompleto". Anche aggiungendovi il materiale rimosso, si ottiene un nuovo inconscio che possiede ancora un protorimosso inattingibile. In un certo senso il protorimosso, non il rimosso, costituisce l'"essenza" dell'inconscio. Ma è un'essenza che non si può definire in modo categorico. Non categoricità e incompletezza sono gli ingredienti epistemici di base di molte nozioni in uso nelle scienze umane, psicanalisi compresa. Sono non categoriche e incomplete, cioè non riconducibili a qualche essenza che le unifichi, le nozioni di: cultura, femminile, paterno, inconscio, follia, linguaggio, altro, oggetto, infinito e molte altre ancora. Sono in generale non categoriche e incomplete le classi proprie secondo Von Neumann e Gödel, cioè le classi che non hanno metaclassi di appartenenza. (In termini aristotelici, le classi proprie sono specie senza genere. Sono come Homo sapiens ma senza Homo). I tentativi di concettualizzare le nozioni espresse dalle classi proprie all'interno di metanozioni superiori, convergono tutti verso la fallacia fondamentale - la fallacia essenzialistica o logocentrica - che condanna le singole scienze umane a decadere nell'ideologia o, peggio, nella feticizzazione. L'esempio lampante è il materialismo storico, che ha feticizzato la nozione stessa di classe. Molti equivoci del multiculturalismo, sostiene Seyla Benhabib, derivano dall'approccio essenzialistico alla cultura. (Contro la sociologia essenzialista della cultura cfr. Seyla Benhabib, La rivendicazione dell'identità culturale. Eguaglianza e diversità nell'era globale (2002), trad. A.R. Dicuonzo, Il Mulino, Bologna 2005, p. 22.) Analogamente, non si capisce nulla di follia - la si fuorclude dal discorso, direbbe Lacan - se la si affronta con schematismi essenzialistici, vuoi psicopatologici, vuoi sociologici, vuoi addirittura psicanalitici (cfr. la fuoclusione del Nome del Padre. Nell'ultimo scritto lo stesso Lacan riconosce che lo schematismo eziologico, da lui proposto, non funziona nella follia di Hölderlin. Cfr. L'Etourdit, "Scilicet", 4, Seuil, Paris 1973, p. 22. Vai alla pagina La cura della scienza per l'approfondimento). L'essenzialismo non spiega la follia esattamente come non spiega il procedimento scientifico. La scienza eidetica di Husserl non è scienza cartesiana, ma una riviviscenza del tode ti e delle aristoteliche sostanze prime a servizio del padrone. Il teorema di incompletezza, insomma, segna la fine del logocentrismo prescientifico, basato su considerazioni deterministiche intorno ad essenze e ragioni sufficienti. (Cause ed essenze sono due facce dello stesso determinismo strutturale: si determinano in teoria le essenze come le cause determinano in pratica gli effetti). Lo psicanalista deve essere avvertito che tali forme di logocentrismo, benché superate dal pensiero cartesiano, ritornano o in certe filosofie contemporanee, soprattutto fenomenologiche, o in quelle forme di tecnoscienze, che formano la galassia cognitivista, un mix interdisciplinare (parola alla moda!) di cibernetica, computer science e neuroscienze. Questi rigurgiti di antico, sotto le specie del rigore, in filosofia, e/o dell'ultramoderno, nella conoscenza, testimoniano la diffusa e inestinguibile nostalgia dell'Uno, che riassuma in sé il Tutto in modo completo e senza lasciare vertiginose mancanze. Lo psicanalista, insomma, deve sapere che, sebbene le religioni siano in rigogliosa ripresa ai quattro angoli della terra, DIO E' MORTO. E deve altresì sapere che questo evento epocale della modernità, prima di essere un evento empirico e documentabile, è un evento epistemico, iscritto nel sapere collettivo, cioè né empirico né razionale, ai confini - a loro volta non determinabili concettualmente - tra ragione e sragione. Ho approfondito il rapporto completezza/incompletezza alla pagina su Vale forse la pena che segnali un topos. Come tratta la filosofia contemporanea il problema della non categoricità e del non concettualizzabile? Attraverso varie teorie della metafora. Ogni filosofo si costruisce la propria. Sono gli ultimi effetti del logocentrismo, nel momento in cui decade insieme alla categoricità del concetto. Sul tema della funzione della metafora nel discorso filosofico allego l'ultimo capitolo della tesi di dottorato di René Scheu sul soggetto debole, Das schwache Subjekt, recentemente pubblicata a Vienna da Turia und Kant. La versione italiana si intitola La luce scura della metafora. L'approccio scientifico non ha bisogno di passare attraverso queste teorie della retorica, dato lo scarso peso conferito al logos. Sul terreno non categorico il discorso scientifico tenta di costruire un dipartimento di "scienze dell'ignoranza", a cominciare da quelle dell'autoinganno, definito come il luogo dove il soggetto è prigioniero di falsità non falsificabili – tipiche le dottrine che si possono solo confermare o ... gettare alle ortiche. In questo senso i tropi della retorica sono semplici strumenti per sostenere l'auto e l'eteroinganno. Non hanno molto valore intrinseco. Una controprova? Quando compare una metafora nel discorso scientifico - per esempio il modello del sistema solare per l'atomo quantistico di Bohr - si crea più confusione che chiarezza. In effetti, la metafora ha valore cognitivo, non scientifico. Cerca di illuminare l'ignoto con il lumicino del noto. La classica metaforica aristotelica "la vecchiaia è la sera della vita" cerca di spiegare ciò che non si sa ancora - la vecchiaia - con ciò che si sa - la sera. Ma la scienza non ha problemi cognitivi. Di fronte all'ignoto inventa nuovi modelli non ancora pensati prima. Avviso ai naviganti lacaniani. In questo sito i termini "non categorico" e "incompleto", così precisati, ricorrono al posto dell'improbabile concetto lacaniano di "non tutto". Cfr. Lacan intuizionista. Come fa notare Alan Sokal, nel suo Imposture intellettuali, nel seminario Encore del 13 marzo 1973, dove "definisce" il femminile come "non tutto", Lacan commette un banale errore di scrittura, usando la soprasegnatura per indicare la negazione. Nella formula della sessuazione femminile soprasegna solo il "quantore" universale (stupido gioco di parole tra "quantificatore" universale e "Kant") invece di tutta la formula. (Segno che il fenomenologo ha poca dimestichezza con la scrittura algebrica). Su questo errore di ortografia Lacan costruisce la teoria del "non tutto", che Wolfgang Pauli avrebbe cestinato come "neanche sbagliata". Das ist nicht einmal falsch! In realtà, la teoria lacaniana del "non tutto" non è del tutto sbagliata, è teologica. Essa distingue due universali: il maschile e il femminile. L'universale maschile è definito dall'eccezione, che ex-siste al tutto. La formula edipica dell'universale maschile è: "Tutti sono castrati tranne il padre". Il padre è il dio trascendente, che costituisce l'essenza dell'universo immanente a lui sottoposto. (Una teoria analoga, basata sul rapporto generalità/eccezione, è ripresa da Giorgio Agamben nella propria formulazione della biopolitica, fondata sullo Stato d'eccezione, a partire da Soeren Kierkegaard e Carl Schmitt nella serie Homo sacer.) Per contro, l'universale femminile sarebbe "definito" dall'assenza di eccezioni paterne e sarebbe di conseguenza più "aperto", nel senso heideggeriano (rilkiano) del termine. In realtà, l'universo femminile è ciò che va scongiurato e tenuto a distanza dalla cultura, in quanto è senza padre e, quindi, non essendo riconducibile a un'essenza precodificata, è potenzialmente folle, per non dire selvaggio. Nel migliore dei casi si parla del femminile come fonte di paradossi. (Forse può a questo proposito interessare il mio Contro i paradossi, per le topologie). Si potrebbe - a essere benevoli - intravedere nell'elucubrazione lacaniana un lontano parallelismo con la concezione scientifica. L'universale maschile sarebbe un insieme, che appartiene all'insieme dei propri sottoinsiemi, mentre questo non appartiene a quello. L'insieme dei sottoinsiemi sarebbe l'eccezione rispetto all'insieme di partenza, in quanto di potenza superiore a questo. (Se l'insieme di partenza possiede due elementi, l'insieme dei sottoinsiemi ne possiede due elevato alla due, cioè quattro). L'universale femminile sarebbe poi talmente inclusivo da includere il proprio insieme delle parti, che tuttavia paradossalmente non lo include. Ho sviluppato queste considerazioni nella postfazione alla mia traduzione dell'Isterico sublimedi Slavoj Zizek (Mimesis, Milano 2003, p. 205), intitolata A proposito del Tutto e dell'Eccezione. La ragione specifica per cui non condivido la dottrina del generale fondato sull'eccezionale non è solo perché è una teologia, ma perché mi impedisce di pensare generalità non categoriche. L'eccezionale costituisce l'essenza del generale, nel senso del luogo comune: "L'eccezione conferma la regola". Ma se è così il generale ha sempre la propria essenza, cioè l'eccezione. Ciò significa che il generale è sempre categorico. In ultima analisi, questa dottrina mi impedisce di pensare generalità non categoriche. In fondo, mi impedisce di cominciare a pensare l'infinito... in tutta la sua incompletezza. Perciò non mi serve per teorizzare la psicanalisi, dove l'infinito funziona da oggetto del desiderio. Da ultimo una raccomandazione, quasi l'obbligo dell'uso della nozione di "categorico" solo con ricetta medica. C'è un uso improprio di tale nozione, inaugurato purtroppo proprio da Cartesio nella III Meditazione e ripreso da Gödel nei propri appunti filosofici, che rimette in vigore l'argomento ontologico in versione realista: "Siccome non lo posso pensare concettualmente, l'infinito esiste nella realtà" (perché non lo creo io con il mio pensiero, ma si riflette nel mio pensiero dall'esterno). Questo argomento è assolutamente da proscrivere, perché vanifica il risultato del dubbio cartesiano: il soggetto finito. Così il soggetto non è più il portato interno al dubbio, ma è il riflesso oggettivo e categorico dell'oggetto esterno inconcepibile. Questo è bieco platonismo e giustifica l'accusa ripetutamente rivolta a Cartesio di essere platonista. Ciò che il soggetto finito non riesce a concepire, tanto l'oggetto infinito quanto il corpo, rimane allo stato di congettura - e basta. Il vero cartesianesimo si ferma lì. Ulteriori considerazioni si trovano nel mio saggio L'"unfinito" ovvero l’uno, gli uno e l’infinito, “aut aut”, 283-284, 1998, pp. 81-106. Ho trattato l'argomento della non categoricità dell'infinito in rapporto all'arte, in particolare in rapporto alla pittura, in (in AA.VV, Connessioni inattese. Crossing tra arte e scienza, Politi, Roma 2009, pp. 97-102). Può essere utile leggerlo per chi abbia una formazione estetica. La versione (ridotta) tedesca è in Eine Struktur, mehrere Modelle (pubblicato in Tanja Jankowiak, Karl-Joseph Pazzini, Claus-Dieter Rath La versione inglese è in One Structure, Many (not equivalent) Models. (in AA.VV, Connessioni inattese. Crossing tra arte e scienza, Politi, Roma 2009, pp. 104-109). Successivo aggiornamento è il testo sui rapporti tra
|
|||
SAPERE IN ESSERE | |||
|