John von Neumann (1903-1957)
Non basta certo una pagina a delineare sufficientemente la figura e la posizione scientifica di questo moderno Leonardo. Nel secolo scorso nessun uomo di scienza, a eccezione forse di Poincaré, che tuttavia rimase uomo del XIX secolo, coltivò tanti e differenti interessi scientifici con tanta competenza e soprattutto con tanta originalità.
Dalla recente e benvenuta biografia di Giorgio Israel e Ana Millan Gasca, Il mondo come gioco matematico. La vita e le idee di John von Neumann (Bollati Boringhieri, Torino 2008), corredata da una ricca bibliografia, traggo un elenco incompleto delle opere di von Neumann, soltanto per dare un’idea della vastità del suo orizzonte:
assiomatizzazione della teoria degli insiemi e fondazione della matematica dal punto di vista formalista (1923-1931);
assiomatizzazione della meccanica quantistica (1927-1932);
discussione dell’ipotesi ergodica in meccanica statistica (1932);
sviluppo di una logica non distributiva per la meccanica quantistica (1936);
studio degli spazi di Hilbert a infinite dimensioni (1932);
studio dell’anello degli operatori su spazi di Hilbert (algebra di von Neumann, 1936-1949, sintesi in Operatori funzionali, 1950);
generalizzazione del teorema di Brouwer del punto fisso (1937);
stima dell’errore probabile da differenze successive di misure (1940-1941);
teoria dei giochi a somma zero e teorema del minimax come modello di comportamento economico razionale, che rende minima la massima perdita (1944);
modello di equilibrio economico come generalizzazione dell’equilibrio di Walras e Pareto (1945);
progetto di un calcolatore universale (EDVAC 1945-1946);
fondazione dell’informatica teorica e del calcolo automatico su grande scala (1946-1948);
sull’ottimizzazione dell’allocazione delle risorse in giochi a somma zero (1953-1954);
teoria degli automi deterministici (1951) e probabilistici (1956).
Opere postume:
su cervello e computer (1958);
geometria del continuo e dei reticoli (1960);
teoria degli automi autoriproduttivi (1996);
misure invarianti (1999).
Per non parlare dei numerosi reports (per lo più tuttora coperti da segreto militare) stilati per le diverse commissioni per l’energia atomica e il suo uso in pace e in guerra.
Cosa può interessare allo psicanalista di questa sterminata produzione?
Per esperienza ho constatato che agli psicanalisti ortodossi nulla può interessare di meno delle diverse assiomatizzazioni inventate da von Neumann nei diversi campi dello scibile: dalla matematica pura all’economia. Anche le statistiche di questo sito dimostrano che la pagina su von Neuman fluttua al fondo della classifica delle consultazioni. La ragione è semplice. Von Neumann non serve a consolidare dottrine precostituite, come sono gran parte delle dottrine psicanalitiche. D’altra parte, chi pratica dottrine precostituite, come lo psicanalista di scuola, non ha alcun interesse a metterle in discussione con assiomatizzazioni alternative alla dogmatizzazione già codificata nei sacri testi. (Con il rischio di vanificare una formazione professionale che è costata tempo e denaro).
Tuttavia, credo che lo psicanalista di mentalità scientifica, quindi libero da vincoli dottrinari e da obblighi di scuola, possa trovare in von Neumann diversi spunti di ricerca e di organizzazione del pensiero. Ne segnalo due che io stesso ho utilizzato con profitto: uno più generale, l’altro più particolare. Il primo è la pratica dell’assiomatizzazione, il secondo è la nozione di classe propria. Comincio dal primo.
1. Cosa significa assiomatizzare?
Assiomatizzare è una pratica teorica molto antica. L’esempio paradigmatico è l’assiomatizzazione della geometria, presentata 2300 anni fa da Euclide nei suoi Elementi (circa 250 a.C.). Ma c’è una differenza enorme tra la pratica assiomatica antica e la moderna, come cercherò di chiarire brevemente.
Il tratto comune alle due è che un assioma è la premessa per il discorso che segue. L’assioma è il dato di partenza. Può essere il principio da cui discendono i teoremi del discorso scientifico o il fantasma che genera i sintomi del discorso nevrotico. Ma ecco la differenza. Per la forma di pensiero antico (aristotelico) l’assioma è una premessa necessariamente vera, mentre per la forma di pensiero moderno (scientifico) l’assioma è una premessa contingente: può essere vera o falsa (allora è una congettura) o né vera né falsa o vera in certi casi e falsa in altri. Per esempio, l’assioma dell’unicità della parallela è vero per Euclide, e non necessita di dimostrazione, ma è contingente per gli speculatori sulle geometrie non euclidee del XIX secolo, dove tale assioma decade e viene sostituito da altri non meno veri e non meno falsi. Davanti a tale situazione il lacanismo di scuola afferma che la scienza moderna fuorclude la verità. Nulla di più inadeguato a rappresentare la transizione epocale dall’antico al moderno. La “verità” dell’assioma esiste e sta nella sua fecondità, cioè nei teoremi che da esso derivano. Inoltre c’è verità e verità. Il lacanismo di scuola, soggetto ai dogmi categorici dell’ortodossia lacaniana, ignora che la verità non esiste in un unico formato. Per esempio, la verità sintattica, dipendente dalla formulazione del sapere – tipicamente la dimostrazione o la giustificazione – è diversa dalla verità semantica o ontologica, dipendente dallo stato delle cose. La prima è astratta, la seconda concreta.
La verità dell’assioma è puramente sintattica. Un assioma è sintatticamente vero perché si deduce da se stesso per il principio di identità. (Sia dato l’assioma A. A implica A per il principio di identità; ma A è vero assiomaticamente, quindi A per modus ponens). Quella assiomatica è una verità semanticamente vuota o astratta nel senso che non dipende dallo stato delle cose. Ma è proprio la vacuità del sistema assiomatico che lo rende applicabile alle situazioni più disparate. Come fa notare Hilbert, gli assiomi della geometria euclidea continuano a valere sostituendo a “punto”, “retta” e “piano” rispettivamente “boccale di birra”, “sedia” e “tavolo”. L’insieme {boccale di birra, sedia, tavolo} fornisce un modello della geometria euclidea, che rispetta gli assiomi di ordine e di appartenenza esattamente come l’insieme {punto, retta, piano}, quindi è valido tanto quanto questo. I due modelli sono equivalenti. Il punto da ritenere è che ogni modello fornisce una verità concreta o semantica e che tutti i concreti modelli semantici si riassumono nel sistema assiomatico astratto, che costituisce la loro classe di equivalenza.
Digressione per psicanalisti
L’assiomatizzazione mette in evidenza un fenomeno che nella storia del movimento psicanalitico ha assunto un peso indebito. Intendo il fenomeno delle “piccole differenze”. Come ho appena detto, tutti i modelli compatibili con una certa assiomatizzazione sono equivalenti, anche se differiscono “poco” tra loro. (Allora si dice che l’assiomatizzazione è categorica. In pratica cancella le piccole differenze). Applicando il discorso assiomatico alla storia della psicanalisi e alle divisioni scolastiche che hanno – inutilmente, cioè sterilmente – travagliato il movimento psicanalitico, si ottiene un risultato relativamente sorprendente.
Prendiamo la prima e più tipica di tutte le divisioni psicanalitiche: quella tra junghismo e freudismo. L’assioma freudiano è che esiste un inconscio individuale. L’assioma junghiano è che esiste un inconscio collettivo. Tra individuale e collettivo esiste una simmetria a sua volta facilmente assiomatizzabile. I due assiomi apparentemente contrapposti sono versioni di un assioma unico. (Determinarlo per esercizio). Quindi psicanalisi e psicologia analitica sono modelli equivalenti di una stessa teoria assiomatica. Di più. Freud lavora con pulsioni, Jung con archetipi. Entrambi questi oggetti teorici sono cause, ma diversamente disposte. Le cause freudiane stanno alla fine del processo psichico, di cui costituiscono il telos. Sono, cioè, cause finali. Le cause junghiane stanno all’inizio del processo psichico, che mettono in moto. Sono, cioè, cause iniziali. Di nuovo ci troviamo di fronte a una simmetria: quella tra “in avanti” e “all’indietro,” che può essere facilmente assiomatizzata. Di nuovo, ma da un altro punto di vista, sussiste un’equivalenza tra psicanalisi e psicologia analitica. Alla luce di queste e altre analoghe considerazioni, quale psicanalista o quale psicologo analitico sarebbe ora disposto a giurare sull’unicità, autenticità ed esclusività della propria specifica dottrina? E chi potrebbe dar torto a chi vedesse nelle guerre di religione tra le comunità psicanalitiche uno spreco di energie, più proficuamente utilizzabili? Per esempio, per fare della psicanalisi una scienza. Ancora oggi, in ambito lacaniano, si scrivono pamphlet a difesa della psicanalisi “contro i suoi detrattori”. Ma se la psicanalisi fosse una scienza, che bisogno avrebbe di essere difesa? Dopo il processo a Galilei, sarebbe imprudente processare la scienza in nome di qualche principio di autorità. Il verdetto sarebbe il ridicolo.
Fine digressione per psicanalisti
Il problema che affaticò Hilbert e il suo giovane allievo von Neumann fu di stabilire se i due ordini di verità – sintattico o astratto e semantico o concreto – fossero equivalenti o equiestesi. Hilbert era ottimista. Presupponeva che ogni verità semantica avesse una controparte sintattica e ogni verità sintattica una controparte sintattica. Verità e dimostrazione, come verità e sapere, per il formalista coincidono. In un certo senso il formalista rimane fissato all’assetto epistemico precartesiano, che ignora la divisione tra verità e sapere. Non ignorabimus, era il motto di Hilbert. In effetti, mentre la seconda metà dell’enunciato – ogni dimostrazione è vera – è facilmente dimostrabile, la prima – ogni verità è dimostrabile – è problematica. Chi risolse negativamente il problema fu Gödel. Il quale nel 1931 dimostrò che nell’aritmetica, supposta coerente, esiste una verità semantica di cui non si può dare la controparte sintattica, cioè non si può né dimostrare né confutare (indecidibile). In particolare, un esempio di verità semantica indecidibile è la coerenza dell’aritmetica. André Weil sintetizzò la situazione in un aforisma: la matematica dimostra l’esistenza di dio, perché è coerente, ma dimostra anche l’esistenza del diavolo perché la sua coerenza non si può dimostrare.
Decade allora il metodo assiomatico? Tutto il lavoro di von Neumann tende a dimostrare di no. La fecondità del metodo assiomatico, pur operando in regime di incompletezza, è dimostrata dall’elenco di assiomatizzazioni in campi diversi soprariportato. L’assiomatica, infatti, permette di formulare nuove matematiche, adatte a campi diversi da quelli tradizionali, tipicamente dalla matematica del continuo della fisica classica. Così l’economia avrà la sua matematica, l’informatica la sua, la teoria degli automi la sua, la fisica quantistica la sua, senza bisogno di trapiantare nei diversi campi di ricerca i modelli meccanicistici della fisica classica in nome di incerte e discutibili analogie, che introducono simmetrie false e comunque non rispondono ai fenomeni in studio. Basta, invece, formulare assiomi adeguati alle nuove situazioni per dedurre da essi i teoremi propri del campo specifico. Kenneth Arrow e Amartya Sen sarebbero impensabili senza von Neumann.
Vanno così le cose anche per la psicanalisi? Credo di sì. O meglio, credo che così dovrebbero andare le cose, se la psicanalisi fosse scientifica. L’impresa non mi sembra impossibile, come dimostro in questo sito. Io stesso, alla pagina scienza dell’ignoranza di questo sito, propongo un sistema assiomatico elementare per l’inconscio. Lo ottengo aggiungendo alla logica intuizionista l’assioma esistenziale: “esiste un sapere che non si sa di sapere ancora”. Si può fare di meglio, certo. Ma che si possa fare, l’ho imparato da von Neumann, non da Freud né da Lacan, entrambi tanto o poco dogmatici e dottrinari. E prima ancora da Hilbert ho imparato che qualunque sistema assiomatico è sottodeterminato. Il mio sistema assiomatico dell'inconscio non parla solo del sapere inconscio, che non si sa di sapere ancora, ma anche di boccali di birra non ancora bevuti. Sono sempre possibili interpretazioni diverse dello stesso sistema assiomatico. L’ermeneutica scientifica è non categorica. Ciò fa parte dell’indeterminazione del discorso scientifico, contro cui strenuamente resiste la forma di pensiero prescientifico, in particolare umanistico, che tende a essere categorico, fino ai limiti del terrorismo.
2. Insiemi e collezioni non insiemistiche
Il secondo contributo di von Neumann interessante per la psicanalisi è, a mio parere, la distinzione tra insiemi e classi proprie. Tale distinzione fu abbozzata da von Neumann in Assiomatizzazione della teoria degli insiemi (1925, l’anno del saggio freudiano sulla negazione, un vero e proprio saggio di logica intuizionista) e successivamente perfezionata da Gödel e Bernays. A lunga distanza di tempo tale distinzione risolse finalmente il problema degli universali, che tanto impegnò i filosofi medievali. Esistono, infatti, due tipi di universali: gli universali “piccoli” e gli universali “grandi”. I primi si riducono all’unità, i secondi no. I primi sono caratteristici della cognizione prescientifica, essendo tipicamente organizzati o nell’albero di Porfirio o nella tassonomia linneana delle specie e dei generi, dove le prime appartengono alle seconde. I secondi sono specifici del discorso scientifico, che indebolisce e relativizza l’Uno. Tra essi annoveriamo il femminile (il lacaniano non tutto, che sarebbe meglio chiamare non uno), il paterno, il linguistico, il ludico e, perché no? lo psicanalitico.
Formalmente, l’universale “piccolo” è un insieme. La sua estensione può essere ridotta a un concetto: la proprietà caratteristica dell’insieme. Allora l’estensione si riduce all’intensione (principio di comprensione). Ma non sempre funziona. Nell’assiomatizzazione di von Neumann-Gödel-Bernays un insieme è un oggetto che è un elemento di un’altra classe. L’universale scientifico “grande”, invece, è un’estensione che non si unifica in un concetto. È non concettuale, unbegrifflich. In quanto tale, nell’assiomatizzazione di von Neumann-Gödel-Bernays la classe propria è un oggetto che non è elemento di altre classi. Insomma, la classe propria non si contestualizza all’interno di nessuna topologia insiemistica. Declinando von Neumann in termini lacaniani, si può dire che non esiste l’Altro dell’Altro che contenga l’Altro come elemento. Ma i termini di von Neumann hanno finora dimostrato di essere in generale più fecondi di quelli di Lacan. (A ventisette anni dalla morte del suo fondatore, cosa ha prodotto di nuovo il lacanismo? Le eterne e sempre uguali ruminazioni della dottrina).
Quella linguaccia di Karl Kraus sosteneva che la psicanalisi non era una scienza, ma una passione, non mancando di sottolinearne l’aspetto patologico. (“La psicanalisi è la malattia di cui pretende di essere la cura”). Chissà che con von Neumann non si riesca a correggere Kraus e affermare che la psicanalisi è animata da una vera e propria passione scientifica.
A questo proposito, tuttavia, non posso esimermi dall’introdurre una nota di cauto pessimismo sul modo di procedere di von Neumann.
Von Neumann, sì, ha fatto molto per la scienza. All’inizio l’ho chiamato “moderno Leonardo” e forse fu addirittura più fecondo di Leonardo. Le macchine leonardesche, infatti, erano giocattoli fini a se stessi, costruiti per il piacere del padrone. Leonardo fu fondamentalmente un servo. Le assiomatizzazioni di von Neumann, invece, si sono dimostrate feconde di applicazioni in campi che prima di lui hanno resistito alla matematizzazione, specie in economia e sociologia.
Tuttavia, mi tocca segnalare, quasi fosse un dato fisiologico e strutturale del soggetto della scienza, il fatto relativamente increscioso che anche von Neumann resisteva alla scienza. Anche von Neumann, non meno di Newton e di Einstein, resisteva al proprio stesso procedere scientifico. Come? Sopravvalutando il principio di ragion sufficiente. Non meno di Einstein, di cui è ben noto l’aforisma “Dio non gioca a dadi”, von Neumann non voleva saperne di indeterminismo nella scienza. Proprio lui, che pur sapeva operare matematicamente con le probabilità in fisica quantistica e in teoria dei giochi, voleva rimanere ignorante di fenomeni spontanei e imprevedibili rispetto alla logica (aristotelica), che è la logica che va bene al padrone. (Quale padrone accetterebbe una logica dove ai suoi ordini non conseguano necessariamente gli effetti voluti?).
Israel riferisce un ben noto passo di una lettera del 1955 di von Neumann a George Gamow, che gli aveva annunciato la propria teoria aleatoria della biosintesi proteica:
“Rabbrividisco al pensiero che degli elementi organizzati, che perseguono un piano in modo altamente efficiente, come le proteine, possano aver origine nell’ambito di un processo aleatorio”.
Siamo a un passo dalla dottrina del disegno intelligente. E von Neumann compì quel passo. Il disegno intelligente, però, non era quello di dio, ma quello del padrone del momento, di Truman nella fattispecie e della sua bomba atomica, al cui programma von Neumann aderì, contribuendo a svilupparlo con il proprio talento. Un punto di più a favore del determinismo aristotelico e di coloro che contestano il servilismo scientifico.
Evitando il discorso ad personam, segnalo che la fissazione al determinismo classico (da Aristotele a tutto l’Ottocento positivista) approda necessariamente a una concezione rigida di razionalità, nonché resistente agli sforzi di indebolirla. Lo si vede particolarmente bene nel caso von Neumann. La razionalità della teoria dei giochi, codificata nel teorema minimax, è oggettivamente debole, essendo fondata sulla strategia di evitare il massimo danno. Non si tratta di razionalità utilitaristica, che mira a ottenere il massimo guadagno possibile. Ma, essendo deterministica, è non meno rigida (sul versante opposto) della razionalità utilitaristica. Impone comunque un ordine totale alle strategie disponibili, e proprio quell’ordine che soddisfa il criterio minimax. Di fatto la razionalità determinista non è aperta a ulteriori indebolimenti. Lo dimostra, ad esempio, la generalizzazione del gioco a n persone, con o senza possibilità di cooperazione. Si sa che von Neumann non apprezzò il lavoro di John Nash jr sugli equilibri che portano il suo nome in giochi a n persone. Essendo determinista, non poteva apprezzarlo. Von Neumann si oppose a Nash anche sul piano accademico, perché questi proponeva una soluzione non deterministica del gioco: un equilibrio mobile, che poteva evolvere verso punti ottimali (benché non di equilibrio), vantaggiosi per tutti i giocatori, in caso di cooperazioni imprevedibili tra i giocatori. E qui si torna al punto dolente: il servilismo scientifico, barricato dietro il determinismo. Nella fattispecie il vantaggio non deterministico di tutti non coincide necessariamente quel che il padrone vuole fortemente, cioè deterministicamente, per tutti – una storia millenaria lo dimostra.
A proposito di rigidità dottrinarie, determinate dal determinismo in una logica servo-allievo/padrone-maestro, sono molte le occasioni su cui lo psicanalista può riflettere in tema di teorizzazioni psicanalitiche, quasi mai esenti da pecche deterministiche. Una per tutte? L’oggetto-causa del desiderio di Lacan. Lacan ignorava che il principio di ragion sufficiente fu una volta per tutte demolito da Hume all’epoca dei lumi. Ma ogni dottrinario è ipso facto contro i lumi e quel poco di democrazia che introducono.