LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE GRADUALMENTE"
pagina creata il 29 agosto 2008 aggiornata il 23 settembre 2009

 

 

 

iguana delle Galapagos

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Per la legge di continuità la natura non lascia vuoto nell'ordine che essa segue. G.W. Leibniz, Nuovi Saggi sull'Intelletto umano (1693-1705, Libro III, Cap. VI)

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A proposito di Darwin non si possono omettere alcune considerazioni su un aspetto negativo del pensiero di questo geniale biologo “dilettante”, come lo definiscono i creazionisti. Si tratta, in particolare, di un aspetto ben evidenziato da due paleontologi americani, Stephen Jay Gould e Niles Eldredge che, per il coraggio intellettuale dimostrato nel criticare il maestro, salvando ciò che deve restare del suo pensiero ed eliminando ciò che deve essere espunto, considero come i suoi più autentici eredi.

Si tratta, per la verità, di un fatto molto frequente e non specifico del darwinismo, che tuttavia nel darwinismo, per la rilevanza scientifica del suo fondatore, assume una carattere paradigmatico. In ogni insegnamento magistrale esistono pecche non scientifiche, frutto della resistenza del maestro alla propria stessa scienza. Vanno corrette, naturalmente. Ma non è facile, perché si va contro le resistenze degli allievi devoti che pretendono conservare il verbo del maestro – ipse dixit – senza alcuna modificazione, come se modificarlo fosse un’offesa personale portata alla memoria del maestro. Tuttavia, anche i maestri sbagliano e sbagliano in un loro modo specifico, da maestri, appunto.
Detto nel gergo di questo sito, non meno di altri grandi scienziati anche Darwin fu vittima della propria resistenza alla scienza. Vediamo di capire il suo “errore”.

I capisaldi della dottrina darwiniana sono tre: due scientifici, empiricamente verificabili, e uno ideologico, per la precisione prescientifico, né verificabile né confutabile (indecidibile, direbbe Gödel). I primi due sono la variabilità biologica individuale e la selezione del più adatto, dove il primo fattore costituisce la base materiale su cui agisce il secondo. La selezione fa sì che solo gli individui meglio adattati all’ambiente generino prole. Il terzo fattore, quello ideologico, si chiama gradualismo e traduce il principio leibniziano Natura non facit saltus. (0)
Secondo Darwin, infatti, le specie hanno origine da specie preesistenti per lento accumulo progressivo di piccole differenze, che finalmente si consolidano in nuove configurazioni specifiche. Il processo si chiama anagenesi e riflette l’esigenza, tipica dell’atteggiamento epistemico prescientifico e cognitivo, di trovare cause che spieghino gli effetti. In questo caso la causa è la specie-madre - "l'antenato comune" nel linguaggio darwinese -, l’effetto l’insieme delle specie-figlie, prodotte secondo Darwin da un non meglio specificato meccanismo di “discendenza con modificazioni”.
Non è insensato chiedersi perché Darwin pensasse al gradualismo. Certo perché non credeva alle essenze linneeane. Se le essenze cambiano continuamente, allora non esistono. Ma se non esistono non si possono nominare. Il paradosso è ben noto nella storia della filosofia come paradosso di Cratilo, maestro di Platone prima di Socrate: se le cose cambiano continuamente, mentre i nomi sono statici e non cambiano, allora i nomi non possono designare le cose. La lingua diventa muta e la linguistica si riduce all’atto di indicare le cose con un dito. Sul piano scientifico, l’errore materiale di Darwin fu di pensare che le modificazioni generazionali, seppure con lentezza geologica, si sommassero in modo aritmetico, fino a generare una nuova specie, sufficientemente diversa da quella di partenza. Invece, quel che si constata empiricamente è che le modificazioni generazionali si sommano sì, ma in modo algebrico, praticamente con somma zero. L’effetto finale di questa algebra biologica è la conservazione della specie di partenza. La selezione del più adatto non produce il nuovo.
Fin qui nulla di male. L’errore avrebbe potuto non provocare ancora conseguenze disastrose. Il gradualismo darwiniano, infatti, è una congettura come le altre – non più vera né più falsa dell’ereditarietà individuale dei caratteri acquisiti, secondo Lamarck, di cui rappresenta la generalizzazione a livello di specie. E come tante altre congetture avrebbe potuto essere verificata o confutata (come il lamarckismo a livello individuale). Purtroppo in questo caso la verifica non poteva avvenire per osservazione diretta, essendo la speciazione un fenomeno che avviene in tempi geologici, estremamente più dilatati della breve vita umana. Se, come sostiene Gould, le specie sono individui, hanno una vita molto più lunga degli individui umani. Ci sarebbe – è vero – una confutazione teorica al gradualismo: il teorema di Hardy. (1) Secondo tale teorema una popolazione, dove gli incroci avvengano casualmente (random mating), la selezione naturale non porta all’aumento indefinito della frequenza relativa della configurazione genetica ottimale e più prolifica, ma solo a un valore limite di equilibrio costante, in generale inferiore a 1. Insomma, la selezione naturale non favorisce il cambiamento, ma opera per il non cambiamento; è, cioè, un fattore di stabilità. (2) Come potrebbe verificarsi il cambiamento, allora?

Darwin non conosceva né la genetica individuale (Mendel) né la genetica delle popolazioni (Hardy e Fisher). Aveva una concezione della genetica per "rimescolamento" (blending). Il carattere "nuovo", per esempio dovuto a misteriosa variazione del materiale genetico, nelle generazioni successive si mescolava ai caratteri "vecchi", fino a essere completamente "diluito". La teoria sacrificava la variabilità genetica alla discendenza con somiglianza. I lacaniani direbbero che Darwin salvava il Nome del Padre. (Più precisamente, salvaguardava la funzione del Padre Ideale - ma del darwinismo dei lacaniani non c'è da fidarsi). In effetti, nella teoria genetica darwiniana c'era troppa somiglianza tra generazioni e troppo poca differenza o variabilità. Tanto poca variabilità che la selezione naturale non avrebbe potuto agire. Tanto poca che, per far funzionare il meccanismo selettivo, Darwin era costretto a immaginare cause supplementari di variabilità: l'alimentazione, l'ambiente, le pratiche sessuali... Diciamo, per semplificare, che l'assetto darwiniano riconosceva meglio la variabilità tra specie diverse che quella entro la stessa specie.

In questo contesto "sbagliato", Darwin formulò la propria teoria gradualista come congettura di principio, inverificabile empiricamente. Le congetture di principio sono necessarie in ogni scienza. Si pensi al principio di inerzia in fisica. Inverificabile empiricamente – come verificare che un corpo non sottoposto a forze continua il proprio moto rettilineo uniforme all’infinito? – il principio di inerzia ha portato alla teoria della relatività. Come si verifica la scientificità di una congettura di principio? Si verifica a posteriori e su tempi relativamente lunghi, benché non geologici, registrando le nuove teorie che la congettura genera. Se genera nuove teorie la congettura è “vera”, altrimenti è “falsa”.
Ebbene, a un secolo e mezzo dalla prima edizione dell’Origine delle specie possiamo tranquillamente affermare che la congettura gradualista di Darwin è in generale falsa. Ha prodotto poche conferme di evoluzione filetica e molte diatribe tra naturalisti. (Una situazione analoga si sta verificando oggi in fisica con la teoria delle superstringhe ed è da sempre la situazione della psicanalisi).
Di più. L’originaria formulazione darwiniana del gradualismo ha prodotto un effetto epistemico patologico, cioè antiscientifico. La fonte di dati empirici – la paleontologia – che con i propri reperti fossili, correttamente interpretati, avrebbe potuto o confermare o confutare la congettura stessa, fu da Darwin arbitrariamente svalutata. L’assenza empiricamente documentata di fossili di specie intermedie – i famosi anelli mancanti – era, infatti, secondo Darwin da considerare una conseguenza dell’insufficienza cognitiva della paleontologia, non un dato sperimentale. (Cfr. il capitolo 10 dell’Origine delle specie, intitolato proprio Sull'imperfezione della documentazione geologica, con la sua famosa chiusa: "Considero i dati geologici come una storia del mondo tramandate imperfetta e scritta in un mutevole dialetto; storia di cui possediamo solo l'ultimo volume, limitato a due o tre regioni. Di questo volume si è conservato solo qua e là un breve capitolo e di ogni pagina solo qualche riga ogni tanto. Ogni parola di questa lingua, che varia lentamente, più o meno diversa nei successivi capitoli, può rappresentare le forme di vita, che sono sepolte nellenostre formazioni successive, e che erroneamente sembrano esservi state repentinamente introdotte.").

La stasi delle specie, insomma, che oggi si tende a considerare la norma, non era per Darwin un dato, ma un artefatto, dovuto alla carenza di documentazione fossile. (Si veda anche la sua corrispondenza con Falconer, sostenitore della stabilità degli elefanti). L’errore di Darwin fu analogo a quello dei Greci antichi che non avevano una cifra per indicare lo zero. Lo zero esiste, anche se manca la cifra per indicarlo. L’assenza di dati gradualisti è, in verità, un dato contro il gradualismo, non è un ipotetico “non dato”, che non inficia il gradualismo. È come lo zero, che non è un “non numero”, ma è un numero a tutti gli effetti. (Lo zero è un numero intero, anche se è difficile da contare, dato che non c’è nulla da contare). Da qui la reazione di Gould e il suo motto “positivista”:
“La stasi è un dato” (positivo).

Detto in termini giuridici, che sono più familiari alla prevalente mentalità umanistica dei termini scientifici: l'assenza di prove, non è la prova dell'assenza, come si sente dire nei tribunali. L'assenza di documentazioni fossili, non vuol dire che i fossili manchino. In questo caso vuol dire che quei fossili che si cercano per provare il gradualismo non esistono in via di principio, non solo in via di fatto.


Ora segnalo un pericolo intrinseco all'ignoranza della distinzione tra principi e fatti. (Una distinzione cara ad Einstein). Svalutare come artefatti i possibili dati contrari alla propria teoria è la via maestra lungo la quale una potenziale scienza si trasforma automaticamente in dottrina dogmatica, d’ora in avanti incontrovertibile. Secondo Gould, Darwin sapeva bene, come tutti i paleontologi sanno, che la stasi e la brusca comparsa di nuove specie sono il fenomeno normale, ma attribuiva alla supposta incompletezza delle testimonianze fossili la discrepanza tra previsione teorica gradualista e osservazioni empiriche.
La mistificazione – come chiamarla? controfattuale? controcontrofattuale? – fu probabilmente involontaria in Darwin, frutto com’era di un diffuso buon senso eziologico di stampo aristotelico, duro a morire. Secondo Eldredge e Gould, nel loro manifesto del 1972 Punctuated equilibria: an altenative to phyletic gradualism, Darwin fu accecato da una teoria preconcetta ­– il gradualismo – che gli impedì di riconoscere come fatti positivi certi fatti negativi – l’assenza di fossili intermedi – non meno reali dei fatti che confermano le teorie, anzi forse di più proprio perché le s-confermano.

Digressione per psicanalisti

Qui si apre una digressione per psicanalisti, i quali dovrebbero conoscere bene il “fenomeno Darwin” come fenomeno frequente nelle loro comunità professionali, dove un maestro ha stabilito una volta per tutte quali sono i fatti e quali no. Difficilmente, tuttavia, gli psicanalisti riconoscono lo “scotoma fattuale”, proprio perchè fa leva sull’autorevolezza, ultimamente aristotelica, di un diffuso buon senso, quasi mai analizzato. (L’analisi sviluppa una sensibilità per i fenomeni individuali, controbilanciata da un’insensibilità per i fenomeni collettivi). Ancora meno gli psicanalisti sono disposti ad ammettere che lo scotoma fattuale è il trucco ricorrente con cui guru, arruffapopoli e falsi maestri imbrogliano i propri catecumeni, facendo credere che i fatti non sono fatti, mentre i veri fatti sarebbero quelli che loro ti dicono che sono i fatti.

(Dato della serie “autoinganno collettivo”, gestito dalle varie agenzie istituzionalizzate: preti, medici, giudici, giornalisti e psicoterapeuti ecc. operanti per il controllo e il mantenimento dell’ortodossia comunemente accettata, su cui si fonda la civiltà. Dato da tenere presente come materiale per un’eventuale scienza dell’ignoranza… civile.)

Last but not least, nell'errore di Darwin c'è un dato che potrebbe incuriosire uno psicanalista curioso. Darwin adottò l'ipotesi gradualista contro il dogma creazionista. (Darwin era diplomato in teologia, non in scienze naturali e ai suoi tempi tutti i naturalisti erano teologi). Se esiste un architetto intelligente, egli ha progettato il piano delle specie fisse e immutabili. Se il gradualismo è vero non ci sono specie immutabili, perché una specie trapassa nell'altra, quindi non esiste architetto intelligente. La deduzione logica non fa una grinza. Peccato che il gradualismo sia falso. Questo dimostra una piccola verità psichica. Non bisogna accanirsi contro la religione. Andando frontalmente contro la religione, si rischia di formulare un'ideologia, altrettanto dottrinaria e forse più intransigente della religione. Il marxismo insegna. E' più sano un pizzico di tollerante agnosticismo.

Tuttavia, a giustificazione di Darwin, bisogna riconoscere che è difficile essere agnostici, parlando di antenato comune. Parlando del padre si finisce con il fare della teologia, magari involontariamente e addirittura volendo controbattere il discorso teologico. Lo stesso Lacan, parlando del padre come l'Uno non castrato, cadde nella teoria teologica del Tutto con Eccezione, di cui fu sostenitore Kierkegaard. L'agnosticismo da solo non difende dalla teologia. Forse con un pizzico di umorismo in più...

Fine della digressione per psicanalisti

Non mi addentro nell’analisi delle teorie alternative al gradualismo darwiniano. Dovrei dire che simpatizzo per “l’equilibrio punteggiato” di Gould ed Eldredge, che ipotizzano “lunghe” stasi nelle specie già costituite (in media 4 milioni di anni, durante i quali non si riscontrano fossili di specie intermedie) e “brevi” radiazioni specifiche alla periferia dell’areale della specie madre. La speciazione allopatrica, ideata da Ernst Mayr e generalizzata dai suddetti autori come speciazione peripatrica ai confini dell’areale ecologico, avverrebbe in media in 40.000 anni, troppo pochi per lasciare regolarmente documenti fossili della transizione. (Per ulteriori precisazioni si veda S.J. Gould, L’equilibrio punteggiato (2007), trad. G. Panini, A. Cardini e M. Ferraguti, Codice, Torino 2008).

Ma non è questo il punto, pur interessante, che mi preme sottolineare. Mi preme di più, invece, evidenziare il fenomeno epistemico generale per cui una teoria scientifica diventa ideologia e da sapere democratico, liberamente confutabile da tutti, si trasforma in sapere tirannico, che non tollera eresie. Il caso Darwin dimostra in modo esemplare che basta poco e il gioco è fatto. Basta inserire nel corpo della nuova scienza, che al buonsenso si presenta come corpo mostruoso e innaturale – magari per la troppa matematica –  una piccola dose di scienza antica, codificata in qualche Organon e ormai acquisita nell’immaginario collettivo come la vera scienza “naturale”, ed ecco che la nuova scienza si corrompe immediatamente. Regredisce. Basta una minima goccia di cognitivismo, per esempio in versione eziologica, e la nuova scienza degenera subito in dottrina per iniziati.

Il fenomeno, secondo me, si è verificato anche in psicanalisi e sin dalla prima ora. L’intuizione di Freud del sapere inconscio – di un sapere che non si sa di sapere (o dell’eccesso della verità immaginabile sul sapere dimostrabile, si direbbe in termini gödeliani) – fu autenticamente scientifica. Ma fu quasi subito trasformata in dottrina inconfutabile – quindi non scientifica – dalla persistente mentalità prescientifica (medicale), in particolare eziologica, con cui prima Freud e poi i suoi epigoni l’hanno elaborata nell’ingenua pretesa di renderla inattaccabile alle critiche. (L’ingenuità fu di difendere dalle critiche dei detrattori una supposta scienza. Una vera scienza non ha detrattori, come non esistono detrattori della vera fisica o della vera biologia.) Freud era solito sostenere che l’opinione pubblica, in particolare l’opinione dei suoi pazienti, resisteva alla psicanalisi. Era vero solo in parte. Freud vedeva la pagliuzza nell’occhio dell’altro, ma non la trave nel proprio. Come Darwin, più di Darwin, Freud resisteva alla scienza. Sosteneva che la sua psicanalisi non era medicina ma una nuova scienza. Sarebbe stato vero se non avesse trapiantato nella sua nuova scienza l’anima vecchia della medicina, che da sempre è l’eziologia.
Sfrondare la psicanalisi dall’eziologismo freudiano, dall’archetipizzazione junghiana o dal logocentrismo lacaniano può essere un buon programma scientifico per psicanalisti di buona volontà. Può essere il risultato della lezione che tuttora ci impartisce l’errore metodologico di un grande della scienza – Darwin.
A buon intenditor...

*

In tema di resistenza alla scienza vale la pena segnalare un tratto caratteristico di questo atteggiamento intellettuale, che in Darwin è particolarmente evidente. L'idea preconcetta, per lo più prescientifica, si impone con arroganza sulle idee concorrenti e alternative. E questo fenomeno si verifica non solo negli oppositori dichiarati alla scienza - quelli che per parlare di scienza usano il termine spregiativo di "scientismo" - ma negli stessi uomini di scienza e malgrado loro.

Darwin fu intellettualmente onesto. Intitolò Difficoltà della teoria il Cap. 6 dell'Origine delle specie. Darwin intuì la verità. Per lui era evidente che tra due specie simili in concorrenza per le stesse risorse elementari una delle due era votata all'estinzione. E dichiarò: "Estinzione e selezione procedono di pari passo".

Chiaro, no? Se tutte le specie simili si estinguono e ne rimane solo una, come possono lasciare documentazione fossile?

Darwin non possedeva un foglio di calcolo Excel sul proprio computer. Avrebbe potuto facilmente simulare la competizione di due specie simili (non troppo densamente distribuite sul territorio), risolvendo un sistema di due equazioni non lineari, che regolano l'evoluzione temporale del sistema. Avrebbe notato quel che aveva intuito, cioè che il sistema converge rapidamente alla "soluzione finale", dove la densità territoriale di una specie si annulla mentre l'altra si assesta su una densità di equilibrio. Ovviamente, la specie che si estingue è quella inizialmente meno numerosa, come meno numerosa probabilmente è la nuova specie che si separa dalla specie progenitrice. Risultato: il gradualismo, se esiste, non lascia tracce. E questo per due ragioni. Primo, perché i rappresentanti della nuova specie sono pochi. Secondo, perché la velocità di estinzione è tanto maggiore quanto minore è il loro numero.

Ciononostante, Darwin si ostinava a pensare che l'assenza di tracce fosse dovuta all'imperfetta documentazione fossile. "I documenti geologici sono incomparabilmente meno completi di quanto generalmente si suppone. La crosta terrestre è un grande museo. Ma le collezioni naturali sono state fatte in modo incompleto e solo a lunghi intervalli di tempo".

Proprio così: "lunghi intervalli di tempo". Occorrono lunghi intervalli di tempo perché da una specie progenitrice emerga una nuova specie, tanto diversa da non entrare in competizione con la specie ancestrale. Anche Darwin lo sapeva, ma non voleva saperlo. Come Freud, come Einstein e come altri grandi scienziati, Darwin resisteva alla propria stessa scienza.

*

Perché uno psicanalista si darebbe da fare con il darwinismo?

Per fondare la psicanalisi sulla biologia?

Certamente no.

La ragione è che Freud commise lo stesso errore di Darwin.
Darwin partiva dall’ipotesi dell’evoluzione graduale. Poiché non trovava prove fossili che testimoniassero la presenza di anelli intermedi, sosteneva che questo era un difetto intrinseco a quella documentazione. Una petizione di principio. In effetti, l’ipotesi dell’evoluzione è di principio. Darwin ragionava così: “Se esiste l’evoluzione, allora esiste il gradualismo. Ma il gradualismo non è documentato. Quindi, l’evoluzione non è documentabile” (modus tollendo tollens). Per salvare il principio evolutivo, Darwin buttò a mare la documentazione fossile. Poi vennero Gould ed Eldredge a correggerlo e a ristabilire la pertinenza della documentazione fossile.
Freud partiva dall’ipotesi della sessualità infantile. Poiché non la trovava documentata nella memoria del soggetto, sosteneva l’esistenza di una rimozione secondaria che coprisse di  oblio il ricordo di quegli eventi primitivi. In particolare, Freud non applicò alla propria teoria edipica la Nachträglichkeit, che lui stesso aveva già fatto giocare a proposito dell’eziologia dell’isteria. L’Edipo è una costruzione mnestica a posteriori non un movente a priori della vita psichica. Coesiste insieme ad altre possibili ricostruzioni psichiche. Non è l’unica possibile. L’unicità e la categoricità reale dell’Edipo è il fondamento dell’ortodossia freudiana. Ma in psicanalisi non si intravedono all’orizzonte né un Gould né un Eldredge.

La “causa” dell’errore comune di Darwin e Freud fu l’epistemologia eziologica, che in Darwin era debole (Darwin abbondonò gli studi di medicina) e in Freud forte (Freud divenne medico e neuropatologo). La selezione naturale è per Darwin la causa che impedisce agli individui non adattati all’ambiente di proliferare e quindi favorisce l'evoluzione attraverso l'eredità con modifiche positive. Il trauma sessuale è per Freud la causa della nevrosi come il bacillo di Koch è la causa della tubercolosi. (La metafora è di Freud).

Tutto sommato, sembra più facile "curare" Darwin che Freud. Per Darwin la cura comincia con la domanda autoreferenziale:

"la selezione naturale è stata selezionata dalla selezione naturale?"

La selezione naturale sembra un buon motore per l'evoluzione quando i meccanismi di generazione della variabilità genetica sono la mutazione e la ricombinazione (che Darwin non conosceva). Su questa base John Holland ha inventato gli algoritmi genetici per risolvere difficili problemi di ottimizzazione. Ma la selezione naturale non sembra un buon motore evolutivo quando i paesaggi di fitness (cioè lo spazio degli stati del sistema) non sono né lisci né gradualistici.

A questo proposito segnalo che esiste un teorema di David Wolpert e Bill Macready, noto come no free lunch theorem, da tradurre niente per niente o non c'è trippa per gatti (1997). Si tratta di un teorema di incompletezza (quindi assai moderno). Asserisce che non esiste l'algoritmo di apprendimento che funzioni meglio degli altri su tutti i paesaggi di fitness. Il teorema generalizza in formato epistemico l'argomento controeziologico di Hume. L'eziologia funziona solo in particolarissimi paesaggi di fitness (il paesaggio medico e il paesaggio poliziesco) e solo nel brevissimo periodo. In generale funziona tanto bene quanto l'astrologia. Ne parlo in Tuttobeneverosì. La selezione naturale è un caso particolare di argomento eziologico debole, valido su scale temporali meno brevi di quelle quotidiane.

D'altra parte esistono anche altri plausibili motori evolutivi oltre la selezione naturale, per esempio la legge d'azione di massa che regola le reazioni chimiche. Waage e Guldberg la formularono nel 1864 e Darwin la conosceva certamente. Più gli elementi di una reazione sono lontani dall'equilibrio, più la reazione evolve verso la produzione dei prodotti. Su considerazioni termodinamiche di questo genere si basano le teorie dell'autocatalisi e dell'autocriticità organizzata abbozzate al Santa Fe Institute da Stuart Kauffman. (Vedi i suoi libri ricchi di suggestioni: A casa nell'universo. Le leggi del caos e della complessità, Editori Riuniti, Roma 2001 e Esplorazioni evolutive, Einaudi, Torino 2005).

La cura "giusta" per il darwinismo e per il freudismo richiede in ogni caso l’abbandono dell’epistemologia eziologica, così come è stata formalizzata da Wundt. In questo sito si propone di adottare sia per il darwinismo sia per il freudismo un’epistemologia degli eventi spontanei, quali sono in fisica i moti inerziali e il decadimento radioattivo o in biologia le mutazioni e, in generale, le transizioni da uno stato di complessità all’altro. Purtroppo in psicanalisi c'è una difficoltà in più: il falso problema della psicoterapia. Abolire l'epistemologia eziologica sembra faccia decadere il potere psicoterapico della psicanalisi. Andare contro la mentalità medica, secondo cui curare significa togliere di mezzo la causa patogena, richiede una volontà di ferro e un'ingenuità intellettuale fuori dal comune.

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Note

(0) Si può risalire più indietro di Leibniz fino a Eraclito. Il gradualismo è una versione moderna del panta rei (tutto scorre), del quale, osserva Aristotele (Metafisica, I, 987b e XIII, 1078b), non si dà scienza nel senso cognitivo del termine, ossia di conoscenza causale. Infatti, il gradualismo prevede infinite forme intermedie tra due forme date, quindi un'infinità di cause, il che è impossibile (Aristotele, Metafisica, II, 994a). (Torna su)

(1) Un teorema di facile dimostrazione, consistente nella risoluzione di un sistema di equazioni lineari, tanto che Hardy, cui si devono teoremi ben più impegnativi in teoria dei numeri, si stupiva di dover passare alla storia per quella che i genetisti hanno pomposamente chiamato “legge di Hardy e Weinberg”. (Tra parentesi, il fatto che esista un equilibrio garantisce che ci sia una simmetria, la quale a sua volta testimonia che siamo in ambito meccanicistico). Curiosamente, il teorema di Hardy e Weinberg non è citato da Eldredge e Gould a sostegno della loro tesi della stasi delle specie. Tra i quattro libri della mia biblioteca risulta che il teorema è più conosciuto tra i genetisti che tra gli evoluzionisti in senso stretto. Il calcolo delle probabilità non è ancora entrato nelle loro zucche come strumento intellettuale adatto a trattare la variabilità? La sintesi neodarwiniana tra genetica e darwinismo è avvenuta in modo incompleto? C'è una resistenza alla scienza anche tra gli uomini di scienza? (Torna su).

(2) Nel suo ponderoso volume L'idea pericolosa di Darwin (Darwin's dangerous idea, 1995, trad. A. Iorio, Bollati Boringhieri, Torino 1997) Daniel C. Dennett trascura il teorema di Hardy, etichettandolo come "semplice applicazione della teoria delle probabilità" (p. 154). Perché? Perché, come ogni filosofo, Dennett subisce il fascino dell'Uno e della Causa, in particolare dell'Unica Causa. Pretende ridurre il modello di evoluzione darwiniana alla sola e unica azione della selezione naturale. Peccato che il teorema di Hardy dimostri che sul medio-lungo periodo la selezione naturale sia un fattore di stabilità, non di cambiamento. Dove si dimostra che la vera idea intellettualmente pericolosa è l'idea teologica dell'Unico. In ogni caso bisogna sempre sospettare una carenza di onestà intellettuale in chi attribuisce poca importanza ai risultati di un procedimento scientifico, in particolare matematico. Preciò propongo di dimenticare gli autori selezionisti, ieri Haeckel e Weismann, oggi Dennett, nonché tutti gli autori che si compiacciono di scrivere just so stories - così le chiamano Gould ed Eldredge, indicando le storie ad hoc inventate dai neodarwiniani per corroborare il selezionismo... che proprio non ha bisogno di essere corroborato. In particolare, dimentichiamo medici e psicologi che inventano storielle cliniche unicamente per confermare le dottrine che hanno imparato a scuola. (Torna su)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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