LA PSICANALISI SECONDO
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"TU PUOI SAPERE. QUESTO NON E' UN PARADOSSO"
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Vieni da "La causa freudiana" Contro i paradossi, contro il finalismo Innanzitutto, devo giustificare perché associo "paradosso" e "finalismo". Per una ragione molto semplice e cioè perché, in modi diversi, generano senso. Il finalismo produce senso "al futuro", creando aspettive che si realizzi ciò che è previsto: l'effetto della causa finale. Il paradosso, invece, crea senso "al presente" attraverso una situazione apparentemente illogica che, proprio perché esorbita dalla logica comune, si carica automaticamente di un eccesso di senso. Non stupisce che finalismo e paradosso siano gettonati da filosofi e soprattutto da preti. L'uomo di scienza, che tiene un discorso poco sensato, non fa ricorso metodologico né al primo né al secondo. Teorie scientifiche realmente paradossali, come la relatività ristretta e generale o come la meccanica quantistica, rifiutano di ricorrere al paradosso e al finalismo. Viceversa, se vedi ricorrere al paradosso e al finalismo, puoi stare certo di essere fuori dal discorso scientifico. L'analista che fa ricorso al finalismo - per esempio, Freud con il suo finalismo pulsionale - non è scientifico. Analogamente, l'analista che fa ricorso al paradosso - per esempio, Jung con il suo ricorso alle coincidenze paradossali - non è un campione di scientificità. La storia dei paradossi è lunga. Comincia ufficialmente da Zenone e non finisce con la scuola di psicoterapia di Palo Alto. I paradossi di Zenone sono un buon esempio di uso cattivo di un modo giusto di pensare. Ne ho parlato a suo tempo nel saggio Contro i paradossi, per le topologie, pubblicato su “scibbolet”, 2, 1995, pp. 159-179. Prendi il paradosso zenoniano concettualmente più semplice: quello della freccia ferma. Una freccia è scagliata dal punto A verso il bersaglio B. Assumi che A sia l’origine delle coordinate e B il punto di ascissa 1. La fallacia di Zenone ragiona così. Prima di raggiungere il bersaglio B la freccia deve raggiungere il sottobersaglio ½. Prima di raggiungere il sottobersaglio ½ deve raggiungere il sottobersaglio ¼. Prima di raggiungere il sottobersaglio ¼ deve raggiungere il sottobersaglio 1/8. E così continuando a bisezionare il proprio percorso, la freccia rimane ferma all’origine delle coordinate 0.
La serie infinita 1 – ½ –1/4 – 1/8 … converge effettivamente a 0. Ragionando progressivamente, Zenone scoprì, che la serie infinita ½ +1/4 +1/8 … converge a 1. Un risultato incontrovertibile. Ma applicò il ragionamento a rovescio, ossia regressivamente, per difendere l’ontologia di Parmenide e negare l’esistenza del movimento, inteso ideologicamente come passaggio dall’essere al non essere. Zenone usò la matematica finalisticamente per trasmettere la dottrina parmenidea. Da dimenticare. Come per le stesse ragioni è da dimenticare Lacan, che strumentalizzò la topologia per veicolare la propria dottrina fenomenologica ai mille che frequentavano i suoi seminari. Vale la pena spingere l’analisi un po’ più a fondo, giusto per ribadire il concetto che la stragrande maggioranza dei paradossi nasce dall’uso di una logica inadeguata o mal orientata - quando non è un trucco bieco come nell'uso improprio della matematica alla Zenone o alla Lacan. Nella maggior parte dei paradossi l’errore più comune è l’applicazione di una logica fortemente binaria, booleana o aristotelica, a problemi che richiederebbero un approccio più soft, in particolare a problemi che coinvolgono l'infinito. Dove trovi un paradosso, puoi stare sicuro che si tratta per lo più di un'operazione maldestra sull'infinito - il cosiddetto e vituperato regressus in infinitum. (I paradossi dell'infinito,1851, di Bernardo Bolzano segnano storicamente il primo avvio verso una giusta concezione dell'infinito). Un esempio. Il cosiddetto double bind, la cui risoluzione sarebbe terapeutica, segnala la necessità di cambiare logica nei problemi della soggettività. Ma la strada migliore per combattere il paradosso non mi sembra quella del controparadosso, per esempio prescrivendo il sintomo, perché così si resta all’interno della logica che genera paradossi. I paradossi sono come i nodi. Uno non scioglie l'altro, ma lo annoda sempre di più. Tutto sommato, i paradossi sono per lo più di ostacolo al pensiero, con l’eccezione di alcuni pochi: il paradosso del mentitore, il paradosso morale di Kierkegaard, ecc. Nel famoso § 53 della Crisi delle scienze europee Husserl pretese fondare la soggettività sul paradosso del soggetto che è nel mondo mentre il mondo è per il soggetto. Un esempio sterile da non imitare. Nel caso del paradosso della freccia ferma si tratta di un abuso di logica teleologica, la quale è più forte della logica ordinaria, avendo un assioma in più rispetto a questa. Parte, infatti, dal presupposto che il mobile, una volta iniziato il movimento, debba sempre e comunque raggiungere il bersaglio, debba cioè tendere al suo telos naturale, dove DEVE fermarsi. Nella fattispecie il punto di partenza naturale è il punto di ascissa 0 e il punto di arrivo naturale della freccia è il punto di ascissa 1. Ma finalità altrettanto legittime - altrettanti punti di arrivo - sono i bersagli ½, ¼, 1/8, … dove la freccia ha sempre lo stesso e costante diritto di fermarsi. Condotta a termine la regressione finalistica, la freccia non parte neppure.
La convalescenza – non dico la guarigione – della frigidità è molto difficile e rara. La donna ci arriva con difficoltà, attraverso una vera e propria riforma intellettuale, che nel suo caso, dovendo superare componenti di invidia del pene, è più difficile che il superamento dell'impotenza sul versante maschile. Volendo puoi tornare alla pagina
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