LA PSICANALISI SECONDO
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"TU PUOI SAPERE,
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Vieni da "Freud" o da qualche pagina dove si critica il suo eziologismo. Sei in "Causa freudiana". L'eziologia delle nevrosi mi perseguita ovunque. (Lettera a Fliess del 20 agosto 1893, forse mai spedita) Il programma eziologico di Freud – l'aristotelico scire per causas – è condensato in poche parole all'inizio del capitolo XII, che conclude la sua Psicopatologia della vita quotidiana (1901) ed è intitolato proprio così: Determinismo, credenza nel caso e superstizione. Ma attenzione! Chi vi cercasse una discussione critica sul principio di ragion sufficiente e sul determinismo nella scienza moderna rimarrebbe deluso. Freud ripropone testardamente le sue solite Just so stories, relative ai cosiddetti "lapsus freudiani", che testimonierebbero secondo lui il conflitto tra una supposta preterintenzionalità inconscia e la reale intenzionalità conscia. Il principio teorico freudiano è oltremodo misero. Si tratta, infatti, della regressione, comune a tutto il pensiero fenomenologico, dall'epistemologia scientifica all'ontologia prescientifica, governata dall'archetipo della causa – l'aristotelico Principio Primo. Ecco – espresso nell'incipit del capitolo citato – il principio dell'iperdeterminismo freudiano: Gewisse Unzulänglichkeiten unserer psychischen Leistungen und gewisse absichtslos erscheinende Verrichtungen erweisen sich, wenn man das Verfahren der psychoanalytischen Untersuchung auf sie anwendet, als wohlmotiviert und durch dem Bewußtsein unbekannte Motive determiniert. (Corsivo di Freud) "Certe inadeguatezze delle nostre prestazioni psichiche e certe esecuzioni apparentemente non intenzionali, una volta applicato il procedimento dell'indagine psicanalitica, si dimostrano ben motivate e determinate da motivazione ignote alla coscienza". Insomma, l'inconscio è ridotto da Freud stesso a luogo della causa ignota alla coscienza. Si tratta di una vera e propria riduzione, addirittura di un immiserimento, rispetto all'intuizione originaria dell'esistenza di una forma di sapere che non si sa di sapere ancora – o luogo dell'ignoranza. Nello stesso capitolo Freud convoca la strenge Determinierung (il rigoroso determinismo), che rende impossibile formulare neppure per gioco delle insensatezze (Unsinn), come enunciare un numero a caso. La metapsicologia freudiana è il luogo della tirannia del senso. E' questo un punto che Lacan indebolirà attraverso l'insensatezza del significante, pur rimanendo come e più di Freud rigorosamente logocentrico. Ma in Freud è assiomatico che: "Nun gibt es aber nichts Willkürliches, Undeterminiertes im Psychischen". "Non esiste nulla né di arbitrario né di indeterminato nello psichico" (S. Freud, "Zur Psychopathologie des Alltagslebens" (1901), in Sigmund Freud Gesammelte Werke, vol. 4, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 270-271). Segnalo che la pagindi questo sito "Effetto come testimonianza inattendibile della causa" ha come tema l'indebolimento del determinismo freudiano. Applico le idee di Laplace sulla probabilità delle testimonianze, che a loro volta prolungano la concezione bayesiana della probabilità soggettiva. Il concetto è di considerare l'effetto come testimonianza relativamente inattendibile della causa. Dovrebbe, allora, essere intuitivamente evidente che, risalendo all'indietro nella catena degli effetti, la probabilità della causa prima – in Freud il complesso d'Edipo – sarà tanto minore quanto più lunga è la catena eziologica (in pratica, la catena delle associazioni libere in Freud o dei significanti in Lacan). La posizione epistemica ultradeterministica rimarrà immodificata in Freud per tutta la vita. A titolo di esempio rievoco la posizione epistemologica di Freud, così come lui stesso la dichiara esplicitamente in Psicanalisi e telepatia del 1921, pubblicato postumo. Se dovesse imporsi l'occultismo, Freud letteralmente vede "imminente uno spaventoso collasso del pensiero critico, della pretesa deterministica (deterministische Forderung, corsivo mio), della scienza meccanicistica". E non tanto retoricamentesi chiede : "riuscirà a impedirlo la tecnica, attenendosi inflessibilmente alle variabili di forza, massa e qualità della materia?". (S. Freud, "Psychoanalyse und Telepathie" (1921), in Sigmund Freud Gesammelte Werke, vol. 17, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 30.) Secondo i canoni dell'epoca, rappresentati per esempio da Einstein, Freud intende con determinismo: principio di ragion sufficiente, cioè ogni effetto ha una causa; con meccanicismo: azione per contatto di una parte di materia su un'altra parte di materia. L'iperdeterminismo freudiano traduce in concreto il logocentrismo prescientifico secondo il quale, se un'affermazione è vera, allora è logicamente vera o necessaria. (Il punto è sviluppato alla pagina "Tempo epistemico prescientifico"). In pratica, se esiste un effetto, allora esiste necessariamente la causa che lo produce. "Nulla è senza ragione", sentenzia il filosofo, la cui filosofia precartesiana inquina tutta la metapsicologia freudiana. E' ben nota e particolarmente pertinente la critica antieziologica a Freud di Grünbaum (cfr. I fondamenti della psicanalisi (1984), Il Saggiatore, Milano 1988, I, II, III). Ha un solo difetto: è essa stessa eziologica. Grünbaum presuppone un fondamento eziologico alla psicanalisi che, invece, proprio se è scientifica, non ha fondamenti. Il mio percorso decostruttivo del freudismo ortodosso, inizia proprio con un lavoro sull'indebolimento della causalità, letto al Congresso di Roma del 1991 Lacan in Italia, dove non fu recepito né durante la discussione né negli atti (parziali) del Congresso. La classica e definitiva decostruzione del principio di causalità è di David Hume (1711-1776), Ricerca sull'intelletto umano (1748), trad. M. dal Pra, Laterza, Bari 1996. L'autore scozzese fu liquidato da Arthur Schopenhauer in mezza pagina della Quadruplice radice del principio di ragione sufficiente (1847). Ne consiglio la lettura come paradigma di "volontà d'ignoranza", ben superiore alla volontà di potenza. (E' un caso dove si dimostra in negativo la precedenza del sapere sull'essere). Per quanto riguarda la problematica della causalità in Freud segnalo che nella sua biblioteca esisteva una copia annotata di David Hume Essays. Literary, moral e political, Ward, Lock & Co, London 1875, p. 589, con annotazioni in rosso alle pagine 122 e 319. Chi mi sa dire se riguardano il principio di ragion sufficiente? Per inquadrare filosoficamente il problema della causalità propongo l'articolo del Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano (UTET, Torino 1971), che riconduce la nozione di causa a quella di "condizionamento". Si tratta di ricondurre l'asimmetria del rapporto causa-effetto alla simmetria del condizionato-condizionante, dove l'effetto può retroagire sulla causa. Forse come termine scientifico, meno connotato psicologicamente, al termine "causa" è preferibile il termine "interazione", anche perché non pregiudica la freccia temporale dalla causa all'effetto, ma lascia spazio alla retroazione dell'effetto sulla causa. Detto nei termini di logica congetturale, tipica di questo sito, la causa è una congettura. E aggiungo: prescientifica. Ha significato, ma non ha (o ha troppo) senso. Uso di proposito la distinzione fregeana tra senso, relativo alla connotazione, e significato, relativo alla denotazione. Il significato della causa è di essere un condizionamento e come tale può essere o vero o falso. ("La peste del 166 d.C., che dimezzò la popolazione europea, condizionò la caduta dell'Impero Romano". Vero o falso?). Il senso della causa è antropomorfo. Il senso della causa efficiente è nell'operaio che produce un effetto, un evento, un prodotto. Il senso della causa finale è dato dall'architetto che progetta un piano: da dio per il cosmo, dal piano quinquennale per l'economia sovietica ai tempi del comunismo. Destituire di senso la nozione di causa - lasciare la causa ai romanzieri, agli storici, ai giudici, ai poliziotti, ai medici - ridurre la sua ipertrofia connotazionale è il "progetto" scientifico di questo sito. Certamente l'introduzione della matematica in psicanalisi può aiutare il lavoro di disboscamento del senso, in particolare determinato dal rigido determinismo freudiano. Meno senso, meno essenza, meno causa, meno filosofia, più significato, più esistenza, più struttura, più scienza. (Un dettaglio per rendere concreto il discorso. Anche l'umanista che odia le formule, leggendo le equazioni di Maxwell del campo elettromagnetico, pur non capendoci niente, capisce che, esclusa la prima e la quarta, nella seconda e terza legge non compaiono né cariche né correnti, cioè paradossalmente non compaiono le "cause", rispettivamente, del campo elettrico e del campo magnetico. Compaiono solo gli elementi della struttura, cioè i vettori campo elettrico e campo magnetico, che si "generano" l'uno dall'altro come effetti senza causa, ma "causati" l'uno dalle variazioni dell'altro. La seconda e la terza legge di Maxwell sono le leggi strutturali dei campi elettrici e magnetici, in quanto ne porgono le proprietà intrinseche. A parole, il campo magnetico non ha sorgenti (non esiste il magnetone) e il campo elettrico ha vortici solo in dipendenza da variazioni del campo magnetico nel tempo. Un esempio davanti agli occhi di tutti di campo elettromagnetico senza cause (cariche o correnti) è il comune raggio di luce. Ricordo - a testimonianza della pervicacia antropomorfa, di cui l'eziologia è il paradigma - che Stuart Mill ritenne di individuare un criterio di causalità nelle cosiddette variazioni concomitanti. Così anche la luce, essendo effetto delle variazioni concomitanti dei campi elettrico e magnetico, risulterebbe fisicamente causa sui, come dio. Tutto il movimento filosofico idealista si basa sul primato della luce e dello sguardo. Un caso che sia senza causa?) Allora, tornando a noi, per uscire dal cognitivismo ippocratico-aristotelico di Freud, propongo di partire da qui, da questo dato negativo: non esiste finalismo nel discorso scientifico galileo-cartesiano. (Chi voglia approfondire il discorso può andare alla pagina Contro i paradossi, contro il finalismo). La "nuova scienza" di Freud è poco scientifica perché troppo ancorata al senso che ogni finalismo, da quello filosofico a quello religioso, genera. Come fare per costruire la scienza freudiana, se l'esordio dello stesso Freud non fu molto scientifico? Preciso, non molto. Infatti, qualche briciolo di scientificità rimane attaccato al camice di Freud, come cerco di dimostrare in Ma come accertarlo? Questa è il problema che dovrebbero porsi e il compito che oggi dovrebbero assumersi gli psicanalisti, invece di gingillarsi con i problemi dell'autorizzazione pubblica e del riconoscimento legale della professione. Un suggerimento viene da Freud, che sembra abbandonare il determinismo ippocratico solo al capolinea del suo percorso in Costruzioni in analisi (1937), dove dichiara l'esistenza di costruzioni che hanno effetto terapeutico, pur non avendo riscontri biografici! (Cfr. Cap III). In altri termini, in psicanalisi esistono effetti senza causa, come in ogni altra scienza. In fisica, infatti, esistono moti senza causa come il moto inerziale. In biologia esistono speciazioni senza progetto intelligente. In economia esistono crisi di Borsa imprevedibili. Forse anche noi dovremmo seguire Freud per questa strada a-eziologica (non anti!). Un modo soft per farlo, che non dica semplicemente Causa? No grazie, mi sembra quello proposto e riproposto più volte da Lacan nei suoi Ecrits, là dove classifica quelle umane come scienze congetturali. La congettura, essendo senza dimostrazione, è meno rigida del principio di causa ed effetto, che ha dalla sua la forza della tradizione, codificata nei manuali di medicina o di diritto. Per lo psicanalista si tratta di far giocare in tutta la sua portata il principio freudiano di verità come fecondità, coniugandolo con il principio di laicità. L'indipendenza del giudizio congetturale dal principio di autorità è la novità proposta da Jakob Bernoulli nel primo trattato di calcolo delle probabilità della modernità, intitolato (Wahrscheinlichkeitsrechnung o The art of conjecturing). Si tratta, ultimamente, di non aver paura del falso come del diavolo, ma di considerarlo come passo preliminare sulla strada del vero, una prima approssimazione al vero. Spinoza lo precisa bene nella Seconda Parte della sua Etica (Prop. 32-35). Un'idea non può essere falsa, ma solo meno vera, in attesa di diventare più vera, cioè quale la pensa dio. Senza scomodare dio, le congetture sono false in quanto mancano di dimostrazione e diventano vere quando o guadagnano la dimostrazione o generano un'altra congettura. Un freudismo, rinnovato in senso scientifico, indebolirebbe il binarismo forte della logica ontologica (aristotelica), che contrappone il vero al falso, come l'uno l'inverso dell'altro. L'autentico freudismo dovrebbe, secondo me, riprendere una tradizione che risale a Cartesio e Spinoza e sfocia nell'intuizionismo di Brouwer. Allora l'assetto eziologico della metapsicologia freudiana, una volta indebolita la logica fortemente binaria del sì, sì, no, no, si indebolirebbe automaticamente. Parlo di queste possibilità in Una matematica per la psicanalisi. (Ma cfr. anche il mio seminario Cartesio, Freud, Brouwer. Verso un'epistemologia dell'inconscio in sapere del tempo.). Concretamente, e anche un po' strumentalmente (mi perdonino i matematici puri), mi rivolgo alla matematica perché aiuti la psicanalisi a uscire dal vincolo (vicolo?) ippocratico, quello eziologico. Si è mai sentito dire che un triangolo retto è la "causa" dell'equivalenza tra la somma dei quadrati costruiti sui cateti e il quadrato costruito sull'ipotenusa? Eppure, il teorema di Pitagora è altrettanto certo - si può dimostrarlo in parecchi modi - quanto un fatto accertato empiricamente mediante le sue cause. E' certo pur non avendo cause. Si può sapere il teorema senza cognizione di causa. Al posto delle cause la matematica aiuta a individuare simmetrie, cioè caratteristiche strutturali reversibili, non necessariamente metriche. (La relazione di causa effetto è essenzialmente asimmetrica, essendo in generale irreversibile). In ciò consiste il meccanicismo della fisica e la certezza relativa del calcolo delle probabilità: nel calcolo delle simmetrie proprie di un fenomeno. Poiché il calcolo delle simmetrie è ultimamente riconducibile all'algebra - la teoria dei gruppi di Galois è il calcolo delle simmetrie, intese come operazioni associative, identitarie e invertibili (vedi il "Programma di Erlangen" alla pagina su Felix Klein) - si può dire che il meccanicismo non ha nulla di più deterministico del semplice calcolo algebrico. Se il meccanicismo è algebra delle simmetrie, la nozione di causa risulta tanto estranea al meccanicismo quanto al teorema di Pitagora. Il discorso è difficile da formulare e delicato da afferrare. Suona peregrino, tanto il nostro buon senso è condizionato dalle categorie aristoteliche, che mirano a definire le essenze dei fenomeni e il passaggio da un'essenza all'altra attraverso il factotum della causa. Tu conosci veramente un fenomeno – la sua essenza –, se ne conosci le cause. Le cause sono la verità del fenomeno. Se non conosci le cause non conosci nulla. O no? Ebbene, io sostengo di no. Si può sapere qualcosa di un evento anche senza conoscerne le cause. La possibilità è garantita dal teorema di Cartesio, secondo cui si può sapere qualcosa anche non sapendo. (Per non dire del teorema di Freud, secondo cui si può sapere qualcosa anche non sapendo... di saperlo). Le simmetrie interne a una classe di fenomeni, cioè il loro disporsi topologico attorno a un centro, asse o piano di simmetria, è il quantum di conoscenza del reale che la scienza offre. Il resto – eziologie, finalismi e adeguamenti – appartiene all'immaginario dell'epoca, cioè è pura mitologia. Idola tribus, direbbe Bacone Francesco. Esistono eventi senza causa, allora? Certo! Il moto inerziale, che prosegue a velocità costante in assenza di forze, il decadimento radioattivo, le mutazioni genetiche, la nascita di nuovi generi o di nuove specie - per esempio, sei milioni di anni fa dalle parti del lago Tugen, fra l'Etiopia e il Kenya, un progenitore del genere Homo "decideva" inspiegabilmente di scendere dagli alberi, dove conduceva una vita relativamente sicura e tranquilla, e assumere la stazione eretta, esponendosi ai rischi della savana - sono alcuni fenomeni "spontanei" (a-eziologici) di cui si interessa la scienza. Chi non abbia esperienza di prima mano di scienza può documentarsi su alcuni capolavori letterari, che trattano di eventi indeterminati e bizzarri per il senso comune, per esempio le novelle e i romanzi di Kafka. Nel maggio 2008 ne ho parlato a Firenze in Vita e morte di uno scarafaggio. Su questo tema dell'indebolimento eziologico - apparentemente facile, ma psicologicamente difficile - non sono mai riuscito a farmi comprendere bene e del tutto dall'interlocutore. Che alla fine mi prende per pazzo e mi guarda con aria di compatimento. Naturalmente è colpa mia. Allora qui, con un interlocutore presente, ma che non mi guarda negli occhi, provo a spiegarmi con un esempio, non inventato da me, ma già individuato da Wolfgang Pauli nella sua Teoria della relatività (1921), scritta a ventun anni, quando non era ancora laureato, per la Mathematische Enziklopädie. Prima di entrare nel merito dell'esempio, sottolineo che la trattazione di Pauli è in piena sintonia con e approfondisce il programma di Erlangen di Felix Klein (1872). Tutto cominciò dalla performance di Maxwell che, con un pacchetto di equazioni alle derivate parziali, unificò elettricità e magnetismo in una teoria di campo, il cosiddetto campo elettromagnetico. Ma i problemi che Maxwell poneva erano più di quelli che risolveva. A cominciare dalla difficoltà di risolvere quelle equazioni. Lo faccio notare en passant, perché mi trovo al punto giusto. I più consistenti contributi alla nascente topologia vennero proprio dallo studio qualitativo dei sistemi di equazioni. Il matematico non ama calcolare. Il pensiero scientifico non è calcolante, come ama credere Heidegger, ma è metacalcolante. Il matematico fa calcoli sui calcoli. Allora immagina spazi in cui sono immerse le soluzioni delle equazioni e studia quegli spazi introducendo piccole deformazioni di continuità e controllando cosa succede alle soluzioni... che non conosce. Come al solito il matematico sa una cosa sola: sa lavorare con la propria ignoranza, come dovrebbe saper fare l'analista, quando dimentica gli stilemi di scuola. Dall'insieme delle perturbazioni introdotte nel sistema delle equazioni e dagli effetti prodotti sulle soluzioni, il matematico ricava indicazioni qualitative sul loro andamento. (Ricordo ancora che la geometria posteuclidea non è lo studio delle figure nello spazio, come credeva Hegel, che non si era aggiornato, ma è lo studio degli spazi in cui tali figure sono immerse). L'altro problema era il supporto fisico del campo elettromagnetico. Non sapendo cosa pensare, i fisici tirarono fuori dal loro insconscio Aristotele, il padre di ogni ignoranza, profondamente annidato nell'inconscio occidentale. Il supporto del campo magnetico era l'etere, quintessenza del sistema astronomico aristotelico. (Quinta essenza dopo le quattro essenze: aria, acqua, terra e fuoco). Ma la scienza moderna non è né dottrina di una scuola né esperienza immediata del singolo individuo. E' esperimento strumentale e/o mentale. Avviene in un collettivo di pensiero, un Denkollectiv, come propone Ludwig Fleck (1896-1961), di cui propongo il saggio del 1936: Il problema della teoria della conoscenza. Con il suo famoso esperimento interferometrico Michelson, premio Nobel per la fisica nel 1907, dimostrò che l'etere non esiste. La velocità della luce non cambia passando da una direzione alla sua ortogonale. E' una vera costante universale. Ma questo poneva dei problemi al calcolo del termine quadratico (v/c), velocità del punto mobile nel campo elettromagnetico divisa per la velocità della luce. Lorentz propose una soluzione del rompicapo con qualcosa che stava a metà tra il trucco ad hoc e l'ardita innovazione. Ipotizzò che il corpo in movimento si contraesse, cioè diminuisse le proprie dimensioni lineari di un fattore proporzionale alla radice quadrata del complemento a 1 di (v/c) elevato al quadrato. Lorentz giustificò la sua mossa con le interazioni del punto mobile prima con l'etere poi con gli atomi dell'ambiente circostante. Come dice Pauli, Lorentz cercava di spiegare la contrazione in termini eziologici. Diverso e veramente scientifico il modo di procedere di Einstein, che partì dal gruppo di simmetria galileiano, cioè dal gruppo delle traslazioni inerziali a velocità costante. Lo generalizzò, introducendovi la costanza della luce (da lui supposta prima dell'esperimento di Michelson), e ottenne il gruppo delle trasfomazioni di Lorentz (così chiamate da Poincaré), che producono la contrazione del mobile e la dilatazioni del tempo, tipiche della relatività ristretta. Dove non si parla di causa, ma si realizza il programma scientifico enunciato da Felix Klein a Erlangen. Non entro in maggiori dettagli. Segnalo solo un momento della storia della fisica che potrebbe essere il modello ideale di un momento della storia della psicanalisi, quando cessasse di parlare di pulsione, come forza finalizzata a ottenere una soddisfazione. Mi riferisco alla Comunicazione di Max Plank del 14 dicembre 1900 davanti alla Deutsche Physickalische Gesellschaft. In quel giorno memorabile veniva annunciata al mondo una nuova fisica, quella quantistica. La parola "causa" non compare. L'analista, anche digiuno di fisica, può confrontare il breve testo riportato, brillante per chiarezza e ardito per innovazione, con la prolissa e faticosa esposizione della coeva Interpretazione dei sogni di Freud che, nonostante tutto quel che ne pensano le scuole di psicanalisi, tanto nuova non è, infarcita com'è di aristotelismo e di fenomenologia. (Risistemando la biblioteca dopo un faticoso trasloco mi capita tra le mani un libretto. Nel 1874 Emile Boutroux, cognato di Henri Poincaré, scrisse una tesi di dottorato intitolata De la contingence des lois de la nature. La sua tesi è che le leggi di natura – ammesso che esista qualcosa degno di questo nome natura – non possono essere necessarie nel senso deterministico del termine, altrimenti non si spiegherebbe la variabilità dei fenomeni naturali. Le leggi di natura devono essere contingenti, cioè riguardare fenomeni che possono essere e possono non essere). Spero che questo discorso sull'indebolimento della causa freudiana possa contribuire al progresso della "causa freudiana" più di tanti isterismi che sono andati in scena nel teatro parigino negli anni Ottanta del secolo scorso. La speranza è di avviare la causa freudiana sulla via della scientificità, liberandola dai lacci dottrinari delle scuole. Ci vuole un minimo di coraggio per correggere il maestro. Mettere in soffitta la sua equazione infondata: fondamento = causa, Grund = Ursache (letteralmente, fondamento = cosa prima). Certo, oltre al coraggio occorre anche una buona disponibilità economica. Infatti, rinunciare alla nozione di causa - alla "pretesa eziologica", come la chiama Freud - significa rinunciare al 90% della pratica clinica psicoterapeutica. Se la psicanalisi non è causa di guarigione, addio proventi professionali. Se la psicanalisi diventerà una scienza, sarà veramente una scienza per ricchi, come un tempo dicevano i suoi detrattori da sinistra. "La strada per l'inconscio è lastricata di dollari", Antonio Gramsci. La mia proposta positiva, che può aiutare a far decadere l'eziologia freudiana, è di riprendere in termini topologici la nozione di "incorporazione". E' un termine che non ha avuto lo sviluppo che meritava, soppiantato dall'identificazione. E' un termine che richiede una teoria del corpo, che manca già in Freud. Perciò rimando alla pagina "sapere del corpo". Un monito, tuttavia, mi sento di muovere a chi si avventura sulla strada dell'indebolimento ippocratico - che provenga dalla psicanalisi o da ogni altra scienza umana. Oggi l'ippocratismo, alias medicalizzazione, va forte, certamente più forte di ieri, nonostante la figura del medico sia più di ieri da più parti contestata. La medicalizzazione non risparmia neppure la psicanalisi. (Vedi in proposito il mio saggio per aut aut Tuttobeneverosì). All'alba del 24 luglio 2007 leggo sul "Corriere della sera" un articolo di Claudio Risé - probabilmente commissionatogli per pubblicizzare una nota enciclopedia di psicologia - dal titolo Esploratori della mente alleatevi con i medici. Non sembra che Risè si preoccupi della scientificità della psicologia. Si preoccupa, invece, del potere terapeutico della psicologia, cioè della capacità di rimuovere le cause patogene. Allora va bene convocare Ippocrate. Un farmaco ben azzeccato può dare una mano alla psicologo che fa psicoterapia. Viva il buon senso! La profonda compromissione della psicanalisi vigente con la medicina è testimoniata dal classico libro di Metodologia medica del professor Enrico Poli (Rizzoli, Milano 1965). Il quale nella sezione Sistematica degli errori del suo libro monta in cattedra a giudicare la psicanalisi come se fosse una specialità medica, evidentemente in quanto attività terapeutica, di cui la medicina ha saldo il monopolio. Tuttavia, l'autore fa la giusta considerazione seguente, che riporto testualmente, perché è in larga parte condivisibile e ancora attuale: "La teoria psicanalitica è un esempio di teoria generale che si presta facilmente a equivoci. Dal punto di vista metodologico, si presenta come uno schema di collegamento (e dunque di interpretazione) degli eventi psichici intorno a un certo parametro [?] (rappresentato da un cosiddetto "istinto". La discussionedella validità o meno di questo presupposto non interessa la metodologia. Ciò che questa deve denunciare è il modo con cui esso viene inteso. Due sono infatti gli errori in cui non pochi adepti di questa teoria sembrano incorrere. a) Rifiuto di considerare debitamente la possibilità di altri schemi esplicativi. Ciò che si contesta non è la liceità di restringere il proprio artifico: è il dimenticarsi che questo è un artificio. b) Pretesa di ottenere l'adesione non con il metodo della convinzione scientifica, che è la "dimostrazione", ma con l'"iniziazione". Ed ove ci si riferisca all'efficacia operativa, dimostrare significa assoggettarsi ai criteri di verifica propri della sperimentazione terapeutica in generale. Nel caso dell'iniziazione l'adepto viene introdotto nel castello della teoria [della dottrina, diremmo noi] a occhi bendati e poi invitato a guardare il paesaggio dalle sole prospettive che le sue finestre concedono." (pp. 159-160). L'ingenuità del predicozzo è che il medico stesso non si accorge di essere prigioniero del castello a cui è stato introdotto durante la sua lunga iniziazione (6 anni di laurea e 5 di specialità): il castello della ragion sufficiente. Persino il mio maestro Jacques Lacan mi ha picchiato in testa che esiste un "oggetto causa" del desiderio. Vi assicuro che ho dovuto passare parecchi anni di inibizione intellettuale prima di potermi liberare da questa sciocchezza aristotelica. Ma l'inibizione è ben venuta nelle scuole di psicanalisi. Fa da collante al legame scolastico ivi praticato e prescritto dal maestro. Sulla nozione di "causa freudiana" resta una considerazione sintomatica e ad personam da sviluppare. Freud, essendo medico, aveva mentalità eziologica. Sapere era per lui sapere con cognizione di causa. Non si accorse mai della fallacia che inquinava il proprio discorso sull'eziologia dell'isteria, le cui cause sarebbero state "scene sessuali infantili", rivissute traumaticamente durante la pubertà, dopo il cosiddetto periodo di latenza. Tuttavia, qualcosa di questa teoria non doveva quadrare neppure a lui. Infatti, Freud contestava nell'altro la fallacia eziologica che applicava largamente alla propria teoria. Vide la pagliuzza nell'occhio dell'isteria, mentre non si accorgeva della trave nel proprio. In effetti, risale alla Traumdeutung la prima teoria dell'identificazione isterica come "pretesa eziologica" (GW, II-III, pp. 155-156). "L'identificazione non è semplice imitazione, ma è acquisizione (Aneignung, dalle OSF tradotto appropriazione! mentre il Duden precisa che si tratta piuttosto di appropriazione indebita) sulla base della stessa pretesa eziologica (ätiologischer Anspruch). Essa esprime il “come [l’altro sono io]” e si riferisce a una comunanza che rimane nell’inconscio”. Vista così, a partire dalle pretese eziologiche, l'identificazione rientra giustamente nel capitolo Deformazione onirica (cfr. Traumdeutung, cap. IV), dove Freud ne tratta. L'eziologia, infatti, è una deformazione intellettuale, che il discorso scientifico tenta di correggere. Curiosamente, il lemma aneignen, usato da Freud, ha una connotazione epistemica che aiuta a correggere la "pretesa ontologica" dell'eziologia freudiana. Infatti, significa anche "adottare" nel senso di "acquisire o apprendere un significato". Sull'identificazione, intesa come "adozione" di ciò che non ci appartiene - lo straniero, il barbaro, l'extracomunitario - ma rimane irrimediabilmente esterno a noi, parlo nella seconda lezione del seminario di topologia alla pagina * Il discorso antieziologico non ha solo una dimensione teorica e intellettuale di ordine epistemologico. Ha una rilevanza pratica e politica, come cerco di dimostrare alla pagina * Riprendo il tema dell'eziologismo freudiano in una pagina (in costruzione) dove rileggo La Gradiva di W. Jensen parallelamente all'interpretazione freudiana, dove Freud esplica al massimo grado la propria ottusità deterministica. Sfrutto a tal fine un delicato ma prezioso suggerimento di Mario Lavagetto che, nella prefazione ai due testi di Jensen e Freud, parla di opacità della letteratura. La pagina si intitola Si tratta del passo avanti che dovrebbe fare la psicanalisi in direzione della scienza.
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SAPERE IN ESSERE | |||
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