LA PSICANALISI SECONDO
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"TU PUOI SAPERE, ANCHE SE IO TI INGANNO"
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Vieni da "Hegel" o da "Lacan falso maestro" Sei in "Hegel falso maestro", che non è molto diverso, esseno tutti i maestri sostanzialmente equivalenti, cioè falsi. Il signor Hegel ha spacciato la propria fenomenologia dello spirito per vera scienza. Questo è un falso storico di cui tuttora, a due secoli di distanza, paghiamo le conseguenze politiche, dovute alla diffusione, in forma invertita, della falsa scienza hegeliana a opera dei socialismi, ispirati al materialismo storico. Nella mia ottica, avendo propagandato una falsa scienza, Hegel è da ritenersi a tutti gli effetti un "Falso maestro". 1. ragioni di sostanza: la "scienza" hegeliana è automovimento del concetto che mobilita le essenzialità (Wesenheiten, plurale!). Per contro, la scienza cartesiana riguarda poco il concetto e per nulla le essenze. La scienza moderna mira a sviluppare la struttura polimorfa (tecnicamente, non categorica) dell’infinito, una struttura che non è concettualizzabile in un singolo concetto. Certo, anche la pseudoscienza hegeliana illustra un proprio genere di infinito. Ma l'infinito hegeliano è una struttura categorica, presentata nella Scienza della logica attraverso il modello definitorio della doppia negazione, cioè come sintesi del movimento dialettico. (Cfr. "L'infinito è la negazione della negazione", Scienza della logica, Libro I, Sezione I, Cap. II, C a)) 2. ragioni di forma: la fenomenologia dello spirito procede linearmente e irreversibilmente verso l’unificazione e la cancellazione (superamento-conservazione) delle differenze individuali nello Spirito Assoluto, senza ripensamenti né correzioni, soprattutto senza reversibilità. Il sapere del falso maestro è definitivo, come può essere definitiva una condanna. Per contro, la scienza cartesiana è in perenne revisione. Nascendo dal dubbio, è esposta all'erranza del sapere e all'infinita correzione della propria ignoranza (v. scienze dell'ignoranza). Il principio dell'etica cartesiana, che è par provision, si applica altrettanto bene alla scienza cartesiana, ma è ignorato dalla pseudoscienza hegeliana. 3. ragioni di forma e di sostanza: per convincersi che l'insegnamento hegeliano non è scientifico dovrebbe (il condizionale è di rigore, trattandosi di volontà di autoingannarsi) bastare poco. Aprite a caso l'Enciclopedia delle scienze filosofiche (1830). Al § 393 Le razze leggete: "La vita planetaria universale dello spirito naturale si particolarizza nelle differenze concrete della Terra e si particolarizza negli spiriti naturali particolari, i quali nel loro complesso esprimono la natura delle parti geografiche del mondo e costituiscono la diversità delle razze (Rassenverschiedenheit)". Il concetto di razza non è scientifico non c'è bisogno di scomodare Hitler, cui i filosofi ontologici sono stati necessariamente vicini. Si spera che tale concetto non usurpi più la cittadinanza di concetto politico. (Precisazione dotta, per cui mi scuso. Il termine "razza" è un qui pro quo della saccenteria enciclopedica illuministica. Fu proposto da George-Louis Leclerc conte di Buffon (1707-1788), che lo importò dalla zootecnia nella storia naturale dell'uomo. Fu un malfamato termine tecnoscientifico, come direbbero i francesi di oggi. Hegel non aveva gli attrezzi intellettuali per analizzarlo, che verranno approntati solo da Mendel e da Darwin). In buona sostanza, esiste un "argomento vittorioso", non ontologico come quello di Diodoro Crono, ma epistemico, contro il falso magistero hegeliano. Lo si espone in un paio di passaggi, uno dei quali concerne, anche se un po' di striscio, il falso magistero lacaniano. La concezione hegeliana della verità è enciclopedica. Il suo motto è: Das Wahre ist das Ganze. Il Vero è il Tutto (Prefazione alla Fenomenologia dello spirito [19]). La verità hegeliana è la verità del Tutto che è anche Intero (Ganz). L'intelletto non ne dispone immediatamente, ma guadagna la verità del Tutto-Intero con il lento procedere del lavoro del concetto, che si conclude nell'irreversibile sintesi finale dello Spirito Assoluto. (Ma potrebbe andar bene anche l'Uno, insediato da Plotino 18 secoli fa sul trono da cui emana l'essere). Ciò che Hegel non vuole prendere in considerazione, anzi ritiene un caso patologico da superare, è l'esistenza di Totalità che non sono degli Interi. In termini lacaniani, Hegel "fuorclude" dal suo complicato sistema autogenerantesi (per partenogenesi?) le Totalità non concettuali, che Kant chiamava semplicemente "molteplicità". Le chiama spregiativamente "cattive infinità", prendendo a loro modello le serie matematiche divergenti, che non si riassumono nel valore del limite finito, a cui tendono invece le serie "buone" o convergenti. Nel discorso scientifico le molteplicità non concettuali si chiamano più convenientemente "classi proprie", cioè classi che non appartengono a classi e per questo si contrappongono agli insiemi propriamente detti, che invece sono elementi di altre classi. (Per esempio, ogni insieme appartieme all'insieme dei suoi sottoinsiemi). Quelle proprie sono classi che non si unificano in un elemento di altre classi. Sono cioè classi per le quali non si può determinare una proprietà caratteristica, riassumibile in un concetto. Per loro non vale la soggezione alla legge dell'Uno, che definisce la scienza precartesiana, contro cui il nostro Galilei ha scritto pagine di inarrivabile umorismo (unorismo, stavo scrivendo senza sbagliare di molto!). Sono le classi che chiamerei "perennemente particolari". Infatti, per le "cattive infinità", o per le classi proprie, il lavoro del concetto non arriva a riconoscere una verità finale, concettuale, appunto, che le rappresenti definendole in tutto e per tutto. Esse rimangono in un certo senso sempre particolari o non tutte. Così le chiamava l'ultimo Lacan. Avrebbe detto meglio non une o meno metaforicamente non concettuali. Ecco allora spiegato il trucco alla base dell'inganno hegeliano: porre in equivalenza il particolare e l'universale. Lo riconosce anche Lacan ("où se mesure le génie de Hegel, de l'identité foncière du particulier à l'universel". J. Lacan, Fonction et champ de la parole et du langage en psychanalyse, in Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 292. Evidentemente i falsi maestri si riconoscono tra loro a fiuto). Ciò consente a Hegel di imporre la propria verità anche alle classi non concettuali: la verità della donna, del signore, del servo, dello Stato ecc. Il falso maestro ha mano libera nell'insegnare qual è la verità proprio là dove la verità concettualmente manca. Ma proprio con "cattive infinità" (o con classi proprie o con universali perennemente particolari), apparentemente prive di verità concettuale caratteristica, lavora la scienza cartesiana. Lavora con universi statistici, conoscibili solo parzialmente per via campionaria: popolazioni, linguaggi, aggregati fisici di atomi, particelle non deterministiche, molecole o cellule viventi. Lavora in regime indeterministico, non sorretto dal principio eziologico di ragion sufficiente. Si va dalla radioattività spontanea (causa sui, come dio, direbbe il filosofo-teologo Spinoza) ai fenomeni quantistici dell'entanglement, dall'evoluzione delle specie agli adattamenti etologici. Si lavora, insomma, in regime di incertezza, senza disporre di verità assolute. Esempio tipico e paradigmatico di verità scientifica, inconcepibile nello schematismo concettualistico del Tutto-Intero, è il secondo principio della termodinamica, che ha solo una verità probabilistica, benché di elevatissima probabilità. Tutto ciò fa dire ai lacaniani ortodossi che la scienza cartesiana fuorclude la verità e che nella scienza "la verità non esiste". Qualcosa di simile aveva già detto Heidegger, il grande elucubratore dell'essere dell'esserci, affermando che la scienza non pensa. Sciocchezze. Ma sono sciocchezze che rendono possibile l'inganno. "Se la verità manca alla scienza, ti insegno io qual è la vera verità scientifica", dice il falso maestro. Non lo dice proprio in forma così diretta; lo dice in forma filosoficamente più elaborata. Sentiamo le parole di un allievo del falso maestro, che parla della fuoclusione del soggetto come conseguenza della fuorclusione della verità: "Quant à l'épistemologie lacanienne, elle marque, à notre sens, la position de la psychanalyse dans la coupure épistemologique (?), pour autant qu'à travers le champ freudien le sujet forclos de la science fait retour dans l'impossible de son discours." (J.-A. Miller, Eclaircissement, in J. Lacan, Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 894). Sciocchezze, ripeto. Testimoniano solo l'analfabetismo scientifico di chi le propone. Sarebbe come dire che la biologia fuorclude la nozione di vita. E' vero. La biologia, soprattutto, quella darwiniana, non parla di vita, perché la vita è una nozione teologica. "Io sono la resurrezione e la vita", diceva il figlio di dio, che di teologia aveva una conoscenza di prima mano. Una lezione, quella di Gesù, da ricordare a chi oggi pretende fare della biopolitica, non sapendo di fare della teologia politica deteriore (non all'altezza di quella di Spinoza). Analogamente la scienza fuorclude a buon diritto tutta la teologia della verità, rivelata o adeguata alla cosa. Ma sulle sciocchezze teologiche – tanto indimostrabili quanto inconfutabili – si basa la fascinazione del falso maestro, sinonimo di teologo. Chi scrive queste righe l'ha subita per decenni – gli anni della cosiddetta formazione – e solo da pochi anni riesce a pensare la psicanalisi in termini scientifici, non teologici, cioè correggibili. (Per l'affascinante storia dell'asserto autorefutativo "La verità non esiste", parente del paradosso del mentitore – pertinente in tema di falso magistero – allego il bel saggio di Franca d'Agostini, pubblicato su "aut aut" nel 2001, insospettabile in questo sito epistemico, perché di pura marca ontologica. Ma tant'è, noi epistemici siamo tolleranti, forse più degli ontologi. Non ci interessa la verità ma il sapere, o meglio: ci interessa più il sapere della verità. Perciò non perseguitiamo gli eretici. Di loro fondamentalmente ce ne frega poco.) A mio parere, i lacaniani (i fenomenologi in generale) hanno troppa fretta di mettere da parte la scienza (magari nell'intento ingenuo di rifondarla in modo rigoroso, alla Husserl). A loro raccomando più prudenza e pazienza. Sappiano che la scienza non lavora con la verità universale – come il filosofo – ma con le verità particolari delle singole scienze, psicanalisi compresa. Nella scienza la verità generale non esiste. Esistono le verità particolari. La scienza, la psicanalisi compresa , "procede dal particolare al particolare". Lo insegnava quel falso maestro di Lacan (Cfr. J. Lacan, Réponse au commentaire de Jean Hyppolite sur la "Verneinung" de Freud, in Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 386). Lo ribadiva quel nuovo sofista di Paul Feyerabend, nel suo libro Contro il metodo del 1975, che Heidegger non ha fatto a tempo a leggere. (Gli avrebbe forse corretto certe idee storte sulla scienza come funzione di un metodo unitario). Il sottotitolo, Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza, andrebbe più ragionevolmente riformulato così: Se esiste la scienza, allora "non tutto" è ragionevole. Non tutto è ragionevole nella scienza, ma non per questo è folle. La scienza può sembrare folle al filosofo, che non comprende le sue manipolazioni con l'infinito. Lo dico per Essere giusti con la follia, titolo di un mio faticoso saggio, pubblicato su "aut aut" un decennio fa, che prospetta per la follia un destino di impotenza o inibizione intellettuale nei confronti dell'oggetto infinito della scienza moderna. La follia non sa trattare l'infinito. La sua caratteristica è "l'assenza d'opera", come la chiama Foucault in appendice alla sua Storia (M. Foucault, Storia della follia nell'età classica (1972), trad. F. Ferrucci, Rizzoli, Milano1994, p. 475). La follia è assenza d'opera con l'infinito. Il folle non sa uscire dalla ragionevolezza del lavoro concettuale, garantito dal filosofo, per affrontare senza garanzie la sragionevolezza scientifica dell'elaborazione dell'infinito. Nonostante tutto ciò, o forse proprio per ciò, per il proprio bagaglio di antiscientificità, Hegel riuscì a imporre al pensiero europeo il proprio dogmatismo non scientifico, successivamente declinato in versione di destra e in versione di sinistra (spartachista, direbbe Lacan, dimenticando le versioni naziste), entrambe incontrovertibili, per quanto contrapposte. Date al popolo qualcosa che sembri un superamento della scienza materialistica, quantitativa, senza soggetto, in una parola "positivistica"; parlate alla gente dell'abbandono dello scientismo, magari attraverso una forma di filosofia come scienza rigorosa (Husserl); annunciate la vittoria sulle tecnoscienze, asservite al capitalismo, e avrete dietro di voi una moltitudine di fan osannanti al vostro Vangelo. Hegel conosceva bene questo tipo di inganno e lo applicò largamente al proprio insegnamento. La stessa divisione in Destra e in Sinistra, nata di fatto negli Stati Generali della Rivoluzione francese (1789), è in linea di principio ascrivibile a Hegel (1807), precisamente alla sua dialettica servo/padrone, il primo costituendo l'autocoscienza di sinistra e il secondo l'autocoscienza di destra, in conflitto mortale... perenne. (sic! già questo dimostra che qualcosa non funziona. Se qualcosa è mortale, non può essere perenne). dove tento di reinterpretare la dialettica hegeliana servo/padrone in termini epistemici, cioè come dialettica dell'inganno, che il maestro vuole imporre all'allievo o che l'analista vuole imporre all'analizzante. Alla fine rimane un problema aperto. L'insegnamento del falso maestro è tutto falso? è tutto da buttare? Lo psicanalista deve fare tabula rasa dell'insegnamento del proprio guru di riferimento? In prima approssimazione, ispirandomi a Spinoza, rispondo: "No". Non esiste l'insegnamento completamente falso. L'insegnamento falso, esattamente come quello vero, va messo alla prova dell'esperienza. La parte dell'insegnamento che produce risultati va mantenuta e raffinata. La parte sterile va buttata. La tecnica che per questo lavoro a me risulta congeniale è la "reinterpretazione". I risultati falsi si possono reinterpretare come veri, spostandoli in un altro contesto, tipicamente dal contesto ontologico a quello epistemico. Così, per esempio, reinterpreto i risultati - non falsi! - della logica intuizionista come teoremi del sapere inconscio, che ancora non si sa di sapere. (Cfr. Una matematica per la psicanalisi, Mathematics for Psychoanalysis.) Così nel 1925, nell'articolo epocale, Reinterpretazione quantomeccanica di relazioni cinematiche e meccaniche, Werner Heisenberg reinterpretava genialmente i risultati della fisica classica e li traduceva per la fisica quantistica, cambiando le variabili velocità e posizione dell'elettrone in frequenza e intensità della radiazione associata. Grazie alla reinterpretazione i falsi maestri possono venire attraversati senza essere dimenticati. Del loro falso insegnamento la reinterpretazione trattiene la verità che loro malgrado comunicano. Nel caso di Hegel quella che deve restare è la lezione - involontaria - sul valore della non concettualità (Unbegrifflichkeit) e dell'incertezza che, una volta trasferite dal campo ontologico a quello epistemico, tanto feconde si sono dimostrate nel discorso scientifico. Per non parlare del loro secondo trasferimento dal campo epistemico a quello politico, dove potrebbero costituire il nerbo della tolleranza e della democrazia intesa in senso moderno. La nuova sinistra potrà superare i falsi maestri socialisti, se reinterpreterà in chiave liberale le esigenze di giustizia sociale. (Qualcosa del genere ha tentato John Rawls). Vale la pena esplicitare il presupposto su cui si reggono le pagine del sito sui falsi maestri. Innanzitutto, con il termine maestro intendo il "maestro" nel senso weberiano di "maestro carismatico". Il bravo professore universitario, necessario alla formazione dei giovani ricercatori, non è necessariamente un maestro in questo senso. In secondo luogo, presuppongo che la scienza non abbia bisogno di maestri, quindi di falsi maestri. Devo però per onestà precisare che questo non è stato sempre vero. In tempi non tanto lontani da noi, la fisica ha avuto bisogno di un maestro, che dicesse come stavano veramente le cose, magari ingannando gli allievi. Intendo Niels Bohr, fondatore della scuola di Copenhagen, che, grazie alla sua falsa scuola, salvò la giovane e immatura meccanica quantistica dagli attacchi dei tradizionalisti – Einstein in testa – che non riuscivano a concepire e accettare il nuovo meccanicismo indeterministico (probabilistico). (L'eziologia strettamente deterministica è oggi riconoscibile come sintomo patognomonico della falsa scienza: dalla medicina al diritto). A questo proposito consiglio la lettura dell'agile libro di storia della fisica di David Lindley: Incertezza. Einstein, Heisenberg, Bohr e il principio di indeterminazione (trad. S. Frediani, Einaudi 2008). L'autore evidenzia bene la sadica tortura del falso maestro sugli allievi, obbligati a riconoscerne e condividerne le fumose ideologie. Anche quando stavano per superare il maestro, accedendo alla vera scienza, prima Kramers poi Heisenberg dovettero ingollare gli improbabili modelli di Bohr. (Si veda il caso emblematico dell'articolo BKS contro Compton). Ma la scuola di Copenhagen durò poco. Direi che durò il tempo giusto di una falsa scuola: il tempo, cioè, necessario alla quantomeccanica di maturare e di produrre la propria verità. In ogni caso, ancora una volta, la morale non cambia: i falsi maestri non sono da dimenticare, ma da attraversare, per dare tempo al falso di diventare vero. E qui rimando a Spinoza. Tornando al tema politico della Destra e della Sinistra, su cui tanto ha ironizzato il nostro Giorgio Gaber, ragionevolmente sostengo che, in quanto effetto del deleterio insegnamento hegeliano, Destra e Sinistra hanno molto in comune. Le unifica l'idealismo. A Destra funzione l'ideale della conservazione, a Sinistra l'ideale della giustizia sociale. Con questo paradosso, che sia a destra sia a sinistra si ama più l'ideale che il contenuto della conservazione o della giustizia sociale. Così gli ideali diventano astratti e la pratica politica si trasforma in un vuoto ritualismo, dove maggioranza e minoranza si contrappongono in uno scontro tanto più astioso e sterile quanto più mancano da entrambe le parti proposte politiche concrete. Di questa commedia l'Italia dell'era berlusconiana sta dando a tutto il mondo una rappresentazione penosa. E la regia non è del povero Silvio.
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