LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE,
SE SMONTI IL SAPERE PRECEDENTE"

creata il 7 gennaio 2008

 

 

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Per le sue incursioni in campo psicanalitico, non posso esimermi dal trattare il caso Derrida.

Ho a lungo pensato tra quali pagine del sito situare questo filosofo. Nel mio archivio personale figura tra gli autori epistemici. La ragione è privata. Devo a Derrida, al suo saggio Cogito e storia della follia (in Jacques Derrida, la scrittura e la differenza (1967), trad. G. Pozzi, Einaudi, Torino 1990, pp. 39-79) l'avermi aperto gli occhi sul cogito cartesiano. Ai tempi ci fu una piccola disputa tra maestro e allievo. Foucault imputava a Cartesio la "fuorclusione" della follia dalla ragione. Derrida corresse il maestro, ponendo la follia come uno dei tanti stati epistemici della ragione: il sogno, il sintomo, l'allucinazione, il transfert. Foucault - all'epoca della Storia della follia - era ancora un fenomenologo. Come tutti i fenomenologi, a partire dal caposcuola Husserl, aveva un rapporto ambivalente con Cartesio. Il fenomenologo pretende superare Cartesio correggendolo. Prende esempio dal fondatore della fenomenologia, Husserl, in particolare dalle sue Meditazioni cartesiane, che di cartesiano hanno molto poco, per "rifondarlo". Derrida non ha il complesso di primo della classe. Come filosofo lo trovo più onesto dei suoi compagni di classe. Il secondo Foucault - siamo giusti con Foucault! - abbandonerà il fanatismo fenomenologico, diventando uno storico onesto e interessante.

Chi mi scrive una pagina su Foucault?

Tuttavia, Derrida rimane fenomenologo e, sotto sotto, filosofo ontologico. Perciò lo colloco tra gli autori ontologici del sito. In effetti, la sua decostruzione è una forma debole di epoché, non così indiscriminatamente distruttiva - e sterile - come quella husserliana, ma mirata a temi particolari: la scrittura, il dono, l'amicizia, la morte. Derrida illustra in modo chiaro i propri rapporti più strettamente filosofici con la fenomenologia nell'articolo comparso su "Alter", intitolato La fenomenologia e la chiusura della metafisica. Introduzione al pensiero di Husserl (nella traduzione di Raoul Kirchmayr). Direi che Derrida fa coscienziosamente il lavoro del filosofo. Il filosofo dovrebbe imparare dal vigile urbano - suggerisce dal versante della filosofia analitica Hilary Putnam. Il filosofo è un "funzionario dell'umanità", dichiarava Husserl in apertura della Crisi delle scienze europee. Invece di ostracizzare inutilmente la scienza perché non pensa l'essere, la funzione del filosofo dovrebbe essere quella di sorvegliare il traffico epistemico, a volte caotico quando non contraddittorio. Il filosofo dovrebbe vagliare - "sor-vagliare" - la scienza: riconoscere e ammettere la buona, feconda di pensiero, e insegnare a scartare la cattiva, per esempio distinguendola dal cognitivismo. Questo lavoro critico, Derrida lo ha svolto egregiamente nei confronti sia della fenomenologia (nel citato articolo) sia della psicanalisi. In tema di psicanalisi Derrida sostiene implicitamente, con tutto l'amore dovuto a Lacan, che la psicanalisi lacaniana è cattiva, perché fallologocentrica. Non c'è bisogno di Freud per celebrare i riti del fallologocentrismo; basta Eraclito. Per ripensare Freud e la follia moderna, invece, occorre ripartire da Cartesio. Questa fu la lezione di Foucault, di metodo anche se non di contenuto.

(Chi mi scriverà una pagina su Foucault dovrà spiegare che Foucault rimase intrappolato nella propria fenomenologia. In quanto fenomenologo, Foucault avrebbe dovuto superare il cogito, per esempio trascendentalizzandolo, come gli aveva insegnato il proprio falso maestro Husserl, attraverso l'epoché. Ma Foucault aveva troppo forte il senso della storia per fare della metafisica. Quindi rimase impigliato nel paradosso di partire affermando il cogito cartesiano, alla fine negandolo. Un po' come successe ad Heidegger, il quale tuttavia non abbandonò mai la metafisica, anzi la teologia).

Nel testo che allego, Per amore della psicanalisi, pubblicato su "aut aut" (327, lug-set 2005, pp. 164-177) poco dopo la sua morte, riconosco pubblicamente il mio debito scientifico nei confronti di Derrida.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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