LA PSICANALISI SECONDO
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"TU PUOI SAPERE, SE SAI DI NON SAPERE"
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Vieni da “Filosofi epistemici” Sei in “Socrate - seconda versione” (Vuoi andare alla "prima versione"?) In un sito di psicanalisi non può mancare una pagina su Socrate. Allora, meglio se ce ne sono due. Perché? Forse perché Socrate ebbe momenti in cui funzionava da psicanalista con il proprio interlocutore? Tipicamente nel Simposio nei confronti di Alcibiade, come rileva anche Lacan nel seminario sul transfert. Vediamo alcuni dettagli del percorso socratico. Ma dimentichiamo i fenomenologi e loro affini. Quel che interessa alla psicanalisi è un altro Socrate, un Socrate meno attuale di quello fenomenologico, anzi decisamente inattuale, un Socrate (quasi) precartesiano. Cioè? Per spiegare cosa intendo con questa bizzarria storica, devo raccontare una storiella - una vera e propria storia clinica. La quale, come tutte le storie cliniche, non racconta la propria verità nel tempo del racconto, ma in un tempo storicamente secondo: quello della ricezione, il nostro, nel rispetto della freudiana Nachträglichkeit. * Un giorno Cherofonte andò a Delfi e osò chiedere all’oracolo se ci fosse uno più sapiente di Socrate. La Pizia rispose negativamente. “Al mondo non c’è nessuno più sapiente di lui”. […] Udita la risposta riflettevo tra me e me: “Cosa mai vuol dire il dio, quando dice che sono il più sapiente? A cosa allude? Perché di mio non so né molto né poco se sono sapiente oppure no. Di certo non mente il dio, ché non gli sarebbe consentito” (3). Per tanto tempo non riuscii a capire cosa il dio intendesse dire. Alla fine di mala voglia intrapresi la seguente ricerca sulla faccenda. * Dopo la lettura di questo passo si può ancora sostenere - come sostengo - che Socrate fu un precursore di Cartesio? Unum scio, nil scire. Socrate non enunciò mai né questa formula epistemica, che di solito gli si attribuisce, né altre formule. La formula citata non è di Socrate ma forse del retore Isocrate o forse dello stoico Filone di Megara, inventore dell’implicazione materiale. Quella formula non è socratica perché è categorica. Afferma che c’è un ben preciso unum di cui si sa che è l'unico sapere, mentre l’ignoranza di Socrate è diffusa e riguarda tutto lo scibile che non si può unificare: il sapere del bene, del bello, del vero ecc. Tuttavia, l’impianto della procedura epistemica socratica, attraverso cui Socrate contestava il falso sapere dei propri interlocutori (élenchos), porta lì, cioè ad affermare il valore positivo dell’ignoranza. Non a caso il messaggio socratico è raccolto dal poeta Lucrezio che, partendo da Democrito ed Epicuro, prepara la dialettica positiva del soggetto della scienza. Leggiamo nel libro IV del De rerum natura la versione antiscettica del nihil scire: Denique, nihil scire si quis putat, id quoque nescit, Non si può negare che in Socrate ci sia la pratica quotidiana dell’ignoranza. Ma non si può neppure affermare che ci sia la teoria che permetta di passare dall’ignoranza al sapere (unum scio). Il tafano ateniese non costruisce un’epistemologia del vero plausibile o congetturale. Si limita a distruggere le false epistemologie che incontra per le strade di Atene. Non parla Socrate, per esempio, di relativismo della verità. In realtà, sotto le spoglie scettiche, Socrate resta un metafisico prekantiano. Sogna la verità assoluta benché irraggiungibile. Il suo intellettualismo etico (“se conosci il bene, lo fai”) non conosce incertezze, se non nella forma stessa del condizionale (“se conosci il bene”). Il “provvisorio” cartesiano non riceve in Socrate dignità di statuto morale. Analogamente, l'ignoranza - espressione epistemica del provvisorio - non diventa generatrice di sapere. In Socrate non c'è traccia del teorema cartesiano: "se non so, allora so". C’è, poi, un secondo ordine di considerazioni per cui possiamo tranquillamente affermare che Socrate filosofava in modo epistemico sì, ma non moderno. Socrate era un logocentrico come tutti gli antichi e molti moderni. I suoi sofistici elenchi, attraverso cui contestava il falso sapere di chi credeva di sapere, erano esercizi, spesso contorsioni, sul significato del significante linguistico. Da buon fenomenologo Socrate cercava il senso delle parole e l'essenza delle cose (9). I suoi arzigogoli rimanevano interni alla pars destruens della filosofia epistemica. Non approdavano mai a una pars construens. Socrate non inaugurò l'uso di ipotesi di lavoro da sottoporre a verifica o falsificazione. Socrate in fondo fu e rimase per tutta la vita uno scettico, quasi pirroniano. Chi ad Atene lo prendeva per sofista non sbagliava di molto. In ultima analisi, per Socrate il sapere era fossilizzato nel significante linguistico, come la protoformica nell'ambra di qualche decina di milioni di anni fa. Estrarre sapere dal significante rimaneva per lui l’unica pratica filosofica possibile - il gioco linguistico più gettonato, ben prima che Wittgenstein lo chiamasse così. Per ciò stesso la pratica socratica era condannata a rimanere confinata per sempre nel circolo logocentrico (altrimenti detto circolo ermeneutico, dove non esistono fatti ma solo interpretazioni). Niente preannuncia in Socrate la rivoluzione scientifica di venti secoli dopo, secondo la quale il sapere è nel reale e non nel linguaggio, nello strumento tecnico e non nel libro sacro, nella costruzione epistemica collettiva (Das epistemische Ding) e non nell'elucubrazione filosofica del singolo. Socrate rimase un praticien dell’eresia. Proponeva interpretazioni illegali del Verbo stabilito dall'autorità e accettato dalla collettività, che però lasciavano il tempo che trovavano. In un certo senso, la pratica socratica rimase sterile, come la pratica logocentrica lacaniana. Alla fine Socrate fu messo a morte dalla sua intollerante città - probabilmente come l’altro grande sofista e matematico, Ippia di Elide, inventore della trattrice, la curva non algebrica che rettifica il cerchio - perché nessuno capiva il senso della sua solitaria e eterodossa ricerca, che introduceva qualcosa di unheimlich nel comune buon senso. Ma, tutto sommato, Socrate fu sopravvalutato. * Per Cartesio il dubbio era una forma positiva e feconda di non sapere, da cui si poteva trarre un sapere. Il dubbio cartesiano, infatti, è una variante del terzo escluso in forma epistemica. “Dubito” significa che non so se so o non so. Ma in entrambi i casi, sia che sappia, sia che non sappia, qualcosa so. Nel peggiore dei casi – e se non ci sono altre alternative – so che non so. Per Freud il sapere inconscio era un sapere che il soggetto non sa di sapere ancora. Era un sapere che il soggetto potrà acquisire attraverso l’analisi, cioè attraverso la procedura tecnica, inventata da Freud e in gran parte logocentrica, di scomporre in elementi costitutivi – i significanti – le falsità cui il soggetto, sempre più radicandosi nella volontà di ignorare, va incontro nella vita: falsi amori, falsi godimenti, passi falsi o lapsus. Per Socrate, a differenza di Cartesio e Freud, il sapere restava un gioco fine a se stesso, inutile sia per il soggetto individuale sia per il soggetto colletivo. In fondo - e concludo - il passo falso che Socrate non analizzò mai – forse perché lo faceva godere troppo e perciò preservava la sua ignoranza – fu uno solo. Socrate si illudeva che per superare l’ignoranza propria e altrui, del singolo e della collettività, bastasse debellare con qualche gioco di parole la congenita volontà di ignoranza dell’uomo. Socrate nacque isterico, ma non morì psicanalista. Non ci sapeva fare con le resistenze alla scienza, le proprie comprese. (11) Due secoli fa, l’isteria commise analogo errore. Si illuse di debellare la volontà di ignoranza del medico, presentandogli falsi sintomi, non elencati nei sacri testi di medicina. Fece un buco nell'acqua. Oggi nessuno parla più né di isteria né di Socrate, tranne qualche psicanalista. Note (1) “La prima consegna che Husserl impartiva alla fenomenologia esordiente, di essere cioè una ‘psicologia descrittiva’ o di ritornare alle ‘cose stesse’, era la sconfessione (désaveu) della scienza”. (M. Merleau-Ponty, La fenomenologia della percezione (1945), trad. A. Bonomi, Il Saggiatore, Milano 1965, p. 16.) La fallacia fenomenologica è enorme. Non avendo esperienza diretta di pratica scientifica, il fondatore della fenomenologia confondeva la scienza con la versione che al suo tempo andava per la maggiore: il positivismo. Oggi, per fortuna, il positivismo è decaduto. Sopravvive come fossile in alcune forme di cognitivismo. Pertanto, si può facilmente sconfessarlo rimanendo all’interno del discorso scientifico. (Ma Merleau-Ponty non lo sapeva. Non voleva saperlo, forse. Di certo il suo analfabetismo scientifico e la sua resistenza alla scienza erano superiori a quelli di Husserl, che almeno si era fatto le ossa come allievo del matematico Weierstrass). (Torna su). (2) In forma succinta l’aneddoto è riportato anche nell’Apologia di Socrate di Senofonte (§ 14) e in Diogene Laerzio (II, 37). (Torna su) (3) L’idea cartesiana del dio che non inganna ha illustri precedenti: Socrate, Paolo (A Tito 1,2; A Timoteo, 2,13). (Torna su) (4) L’analista dovrebbe saperlo dalla propria pratica clinica. Se nelle sedute preliminari incautamente si azzarda a far capire al potenziale analizzante che si sta ingannando su quel che crede di sapere, la reazione negativa scatta immediatamente, a volte in modo selvaggio, a volte in modo paranoico (paranoia postanalitica, secondo Lacan). Guai a intaccare la volontà di ignoranza della gente! Vulgus vult decipi. Le manipolazioni epistemiche sulla volontà di ignoranza suscitano di regola l’odio, perché potrebbero rivelare la verità. Molesta veritas si quidam ex ea odium nascitur (Cicerone). (Torna su). (5) Ironia socratica. Socrate sta parlando ai propri accusatori – Meleto, Anito, Licone – di loro, dando loro degli ignoranti. Meleto, principale accusatore di Socrate, era rappresentante della lobby dei poeti, come Anito lo era di quella degli artisti e dei politici (e forse fu istigatore di Meleto nel processo a Socrate), mentre Licone rappresentava gli oratori. Ma i giudici non giudicarono in modo ironico. Praticamente, rivelando agli Ateniesi la propria volontà di ignoranza, Socrate si autocondannò. (Torna su) (6) La psicanalisi è diventata odiosa al mondo affermando di ogni essere parlante che chi parla è ignorante: non sa quel che dice. (Torna su) (7) La logica epistemica di Socrate non contempla la terza possibilità: essere un po’ ignorante e un po’ sapiente al tempo stesso, come succede al soggetto dell’inconscio che non sa di sapere quel che sa. (Torna su) (8) Cosa sogna l’oca? Il granoturco. Cosa sogna l’ignorante? Un maestro che lo mantenga nell’ignoranza, precisamente un falso maestro. E quando smette di sognare, l’ignorante lo trova, il maestro che fa per lui. Questo è particolarmente vero in politica. Il 30% degli italiani si lamenta di Berlusconi. Ma Berlusconi esiste perché l’hanno voluto gli italiani. I berlusconiani precedono Berlusconi, come l’effetto precede la causa o come il soggetto collettivo precede l’individuale. (Torna su) (9) "Che cos'è la fenomenologia? [...] La fenomenologia è lo studio delle essenze, e per essa tutti i problemi consistono nel definire delle essenze: per esempio l'essenza della percezione e quella della coscienza" (M. Merleau-Ponty, La fenomenologia della percezione (1945), trad. A. Bonomi, Il Saggiatore, Milano 1965, p. 15). Tanto basta per dire che la fenomenologia non è scienza. La scienza non è il discorso delle essenze. (Torna su) (10) La teoria platonica della conoscenza come reminiscenza è la variante accademica, consolidata e fissata nel mondo delle idee innate, della pratica isterica di Socrate. Le idee platoniche stanno nell'Iperuranio, ma i concetti socratici stanno qui in terra, precisamente nel significante. La maieutica socratica è l'arte logocentrica di estrarre concetti dai significanti. (Torna su) (11) Come già detto, le resistenze di Socrate furono dirette contro il discorso scientifico. Sono queste anche le resistenze del discorso filosofico, inteso alla Lacan come discorso del padrone. O meglio, come discorso del servo che si conforma al discorso del padrone. Socrate fu un filosofo anomalo. Non volle servire alcun padrone, rimanendo fedele da filosofo solo alle Leggi. Questo è impossibile senza cicuta. (Torna su)
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