LA PSICANALISI SECONDO
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"TU PUOI SAPERE SE NON SAI"
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Vieni da "Filosofi epistemici" Sei in "Socrate - prima versione" (Vuoi andare a "Socrate - seconda versione"?) Studente di prima liceo, mi sembrava che la filosofia fosse partita bene con il motto socratico: "Una cosa so, di non sapere". Mi sembrava e mi sembra tuttora una verità incontrovertibile. Perché la filosofia non ha continuato su quella strada? Perché, invece, imboccò la via delle essenze - con l'idealismo - e delle cause - con l'empirismo? Non lo saprò mai. Di certo so che qualcosa non ha funzionato. La mia congettura odierna è che la filosofia si sia - credo involontariamente - consegnata al potere. Forse per sopravvivere ha scelto la servitù. (Lo dico per analogia con la psicanalisi). Al potere i filosofi hanno consegnato i criteri categorici di quel che di volta in volta era giusto pensare o dire ai fini della convivenza civile. Al potente di turno il filosofo ha affidato i codici morali che andava elaborando. Aristotele prestò servizio come maggiordomo alla corte di Filippo, il Macedone. Istruì Alessandro, che imparò tanto bene la lezione da conquistare il mondo. Le categorie universali del pensiero filosofico si trasformarono senza soluzioni di continuità nell'imperialismo politico del giovane despota. Poco importa che l'esperimento si sia dimostrato effimero. Le categorie che lo reggono vivono nell'eternità della metafisica. Per rinascere e radicarsi nel senso comune, agli universalismi aristotelici bastava aspettare altri despoti: i pontefici dell'universalismo cattolico, per esempio. Allora i filosofi saranno diventati teologi. Oggi, la delusione si acuisce. Dalla mia amica platonica (volevo dire: platonizzante) vengo a sapere che in realtà Socrate non è mai esistito. Quel che conosciamo noi è solo la marionetta del teatrino filosofico, messo in scena da Platone nei suoi dialoghi: Socrate, un sofista tra gli altri. Nel Protagora è evidente. Il benestante Callia, che li ospita a casa sua, non distingue la marca epistemica di Socrate da quella sofistica di Protagora. Chissà? Forse Socrate non è esistito come individuo - immagino - ma solo come classe. Forse è il simbolo collettivo della stessa cultura ateniese, destinata a perire tragicamente, dopo aver vissuto comicamente. E' la diagnosi politica che lo stesso Socrate mormora all'uscita dal Simposio, più per confermarla a se stesso che ai conviviali, ormai cascanti dal sonno per aver bevuto troppo: "Il vero poeta tragico è anche comico". Socrate parlava con cognizione di causa, da giornalista informato sui fatti. La grande commedia greca fu la democrazia, inscenata nella boulé - un altro grande teatro cittadino. (Il Greco fu un genio teatrale). Nonostante le filippiche di Demostene, la democrazia ateniese non seppe difendersi da se stessa, quindi, neppure dai vicini barbari, pronti a invaderla alla prima occasione, sfruttando le scissioni interne. Eppure nei millenni un'eco dell'epistemologia socratica risuona. Per esempio, nel cogito di Cartesio o nei giochi linguistici di Wittgenstein, anch'essi teatrini dove gioca il sapere dell'altro. Poca cosa, certo. Su tutto il resto domina lo schematismo classificatorio dell'ontologia, funzionale al potere. A è A, B è B (principio di identità), A non è non A (principio di non contraddizione), non c'è B da dire dopo A o non A (principio del terzo escluso). Sul lungo periodo la cicuta bevuta da Socrate ebbe effetti soporiferi. Ben presto estese la propria azione dal soggetto individuale a quello collettivo. Anche quando un soggetto della scienza nascerà, nascerà tra i rovi del cognitivismo, basato sull'adeguamento dell'intelletto alla cosa, dell'ippocratismo, basato sul principio di ragion sufficiente, dell'ermeneutica, basata sull'inesistenza dei fatti ma solo delle interpretazioni (che fanno comodo al potere), e crescerà tra le perfidie di tutto il parentado ontologico. Insomma, avrà vita grama - il soggetto della scienza - dovendo scegliere tra vendersi al capitale come tecnocrate o sbarcare il lunario con la pensione dell'Accademia. Oggi la civiltà non resiste più a Socrate. Resiste alla scienza, in nome del buon senso di Aristotele, riciclato dalla filosofie analitiche e continentali. Mio bel Galilei, sei scampato alla cicuta, ma Simplicio ti ha battuto! PS. Qualche spericolato psicanalista sarebbe disposto a giocarsi parte della propria reputazione, affermando che Socrate fu un isterico. Magari per via del rifiuto opposto alle profferte erotiche di Alcibiade. Isteria maschile - brutto affare! Oggi non la si processa più. La si etichetta come schizofrenia, la si rinchiude in qualche ex-manicomio e la si cura con i tranquillanti maggiori. Certo è che Socrate fu condannato al silenzio proprio dai filosofi, che non l'hanno mai trovato né abbastanza idealista né sufficientemente empirico. Inutilizzabile per qualsiasi programma ontologico. Insomma, Socrate "non si applica" alla civiltà. Quasi come la psicanalisi. Qualche altro psicanalista, con minore buona reputazione da difendere, potrebbe slanciarsi in un'altra e più ardita congettura. Certamente falsa, come molte interpretazioni oniriche, ma forse dotata di una sua carica di pensiero. Si vedrà alla prova dei fatti. Socrate fu l'antesignano - recita questa congettura - del pensiero non concettuale. La congettura è due volte falsa. Primo, perché Socrate fu l'inventore del pensiero concettuale, se ricordo bene le lezioni del prof. Mario Miccinesi al liceo Berchet di Milano, dove imparai a distinguere tra "concetto" (in Socrate, appunto) e "idea" (in Platone). Secondo, perchè il pensiero non concettuale è pensabile solo in epoca scientifica. Solo con la scienza si conquistano i grandi teoremi di incompletezza epistemica: in aritmetica, il teorema di Gödel; in fisica, la meccanica quantistica; in biologia, il darwinismo; in psicologia, l'inconscio. Solo grazie alla scienza, Hans Blumenberg poté scrivere il proprio testamento, pubblicato recentemente: Theorie der Unbegrifflichkeit, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2007. Proprio così: Teoria dell'inconcettualità. Ma su quali forme di inconcettualità importunava Socrate i propri concittadini, che a un certo punto si stufarono e lo giustiziarono? Sull'infinito? No, Socrate fu un pensatore antico. Non pensava ancora l'infinito. Sulla femminilità? Ma ti prego. Sulla paternità? Acqua. Sulla verità? Fuochino, Fuochino. Sul linguaggio? Fuochino, quasi fuoco. Sulla libertà? Meno astrattamente? Sulla felicità? Fuoco! Non la chiamava "felicità". La chiamava eudemonia. Voleva dire letteralmente: "stare bene con il proprio demone", e ne faceva lo scopo della vita. Oggi si direbbe "stare bene con il proprio inconscio". Già, proprio l'inconscio è il paradigma moderno - scientifico - di inconcettuale. Ma forse è più suggestivo parlare di felicità, vista la misera fine che ha fatto l'inconscio nelle scuole di psicanalisi, peggio di Sansone tra i Filistei. Vuoi dire che Socrate fu freudiano ante litteram? In parte sì. E' più corretto dire che Freud prolungò Socrate. Una sola cosa so, di non sapere che so. Ma se il sapere è incompleto, come incompleto è il sapere scientifico, addio concetto e addio eudemonia. Da fine antropologo, Blumenberg commenta ironicamente la caduta del concetto nella modernità. Se la felicità fosse concettualizzabile, sarebbe una cosa ben definita, uguale per tutti. E tutti si scannerebbero per ottenerla, con il risultato che nessuno sarebbe più felice (cit. p. 25). Il diritto alla felicità della dichiarazione americana di indipendenza è un diritto... a patto di non esercitarlo. Diritto e felicità, come diritto e inconscio, non vanno molto d'accordo, se è vero che il diritto - secondo Freud e secondo Benjamin - è rohe Gewalt, pura violenza. Il diritto è la violenza del concetto, madre di tutte le violenze, che l'inconscio, per nostra fortuna, sospende. (Cfr. J. Derrida, Violenza e metafisica, in La scrittura e la differenza (1967), trad. G. Pozzi, Einaudi, Torino 1990, p. 99) A posteriori possiamo senza difficoltà affermare che i Greci sbagliarono a giustiziare Socrate. Quella cicuta - quel suicidio, secondo alcuni - segnò l'inizio della loro decadenza. O forse - evento più probabile - Socrate diede una mano a quegli imbecilli. Sbagliò a difendersi da solo al processo. Gli imbecilli ne ricevettero un'impressione di arroganza, non afferrando l'ironia del gesto. Forse - ma non ne sono del tutto certo - Socrate avrebbe fatto meglio a farsi difendere da un avvocato del calibro di Benjamin, che avrebbe letto la seguente arringa: Per la critica della violenza. Ne consiglio la lettura ai giudici ateniesi - oggi diventati umanisti - eventualmente interessati a correggere i propri errori. Avverto che Benjamin non usa il termine inconcettualità, ma il termine corrente ai suoi tempi nichilismo. Il nichilismo, spinto fino al suicidio, era l'unica arma che Benjamin sapeva usare contro il diritto, concepito unicamente come diritto del vincente. Lo stesso nichilismo vietava a Benjamin di pensare che esistessero altri diritti, per esempio il diritto dei perdenti ad avere diritto. Beniamin, benchè fine conoscitore della storia francese, non riconosceva che «Tutti gli uomini nascono e muoiono liberi ed uguali in dignità e diritti» (art. 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, Parigi 10 dicembre 1948, ricalcato sull'art. 1 della Déclaration des Droits de l'Homme et du Citoyen, elaborata 159 anni prima all'esordio della Rivoluzione francese). Nel 1948 il "romantico" Benjamin - forse non meno romantico di Socrate - era morto suicida da 8 anni. Siamo negli anni in cui Hannah Arendt pubblica il suo Le origini del totalitarismo, dove formula la tesi del Tramonto degli Stati nazionali e la fine dei diritti umani. "L'apolidicità è il fenomeno di massa più moderno e gli apolidi sono il gruppo umano più caratteristico della storia contemporanea". (Cfr. H. Arendt, Le origini del totalitarismo, trad. A. Guadagnin, Edizioni di Comunità, Milano 1996, p. 385). Tanto la Lega lombarda è moderna, da volere introdurre in Italia il reato di immigrazione clandestina. Un'ulteriore osservazione, che non riguarda né i greci né Socrate, ma solo Benjamin. Mi riferisco alla leggerezza con cui certi umanisti traducono dalle lingue straniere. Nel testo sulla violenza Benjamin propone il famoso binomio das blosse Leben, che i fenomenologi di casa nostra traducono forsennatamente "la nuda vita", sperando di trovare nell'autore tedesco un fondamento alle loro debolezze biopolitiche. A parte il fatto che già Benjamin dà la traduzione di blosse - nel senso di unbedingt, assoluto, incondizionato - (cfr. p. 201), vi pare ragionevole supporre che contestualmente Benjamin intendesse con blosses Dogma "nudo dogma", con blosses Dasein "nudo esistere", con blosse Mittel "nudi mezzi", con blosse Manifestation "nuda manifestazione"? Molto probabilmente i fenomenologi nostrani non hanno studiato Il compito del traduttore dello stesso Benjamin, annesso alla sua traduzione da Baudelaire, che allego nella mia traduzione per "aut aut", 334, 2007 pp. 7-20, e nell'originale, Die Aufgabe des Übersetzers. In conclusione, per mitigare il taglio poco accademico delle mie considerazioni, riporto la definizione di Nicola Abbagnano della voce Socratismo nel suo Dizionario di Filosofia: "La dottrina di Socrate quale è rimasta fissata nella tradizione antica e che si può riassumere nei seguenti capisaldi: 1° Il valore della ricerca filosofica per cui una vita senza ricerca non è degna di essere vissuta. 2° La limitazione della ricerca all'uomo e il disinteresse per ogni indagine sulla natura. 3° L'identificazione di scienza e virtù, nel senso che la virtù si può insegnare e apprendere e che non non si può fare il bene senza conoscerlo. 4° L'importanza attribuita all'insegnamento, con la pretesa di non insegnare nulla e di limitarsi a favorire il parto intellettuale degli interlocutori. 5° Il metodo dell'interrogazione e dell'ironia" (sottolineatura mia). Detto a modo mio, Socrate fu analista per il punto 1° e se si escludono i punti 2°, 3° (seconda parte), 4° (prima parte) e 5° (a meno di non intendere ironia come asistematicità e l'interrogazione come domanda sulla domanda). Non fu perfetto analista, Socrate, perché non fu abbastanza cartesiano. Dava troppa importanza all'insegnamento, pur ironicamente concepito. Il suo rischio fu la Scolastica. Tutto sommato il mio giudizio su Socrate è positivo. Bevendo la cicuta, suicidandosi, Socrate sfuggì al destino, incombente su ogni filosofo che non sia già nichilista, di diventare falso maestro. sembrava
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SAPERE IN ESSERE | |||
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