LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"¡QUE NO QUIERO VERLA!"

creata il 6 ottobre 2009 aggiornata l'8 ottobre 2009

 

 

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¡Que no quiero verla!

Díle a la luna que venga,
que no quiero ver la sangre
de Ignacio sobre la arena.

¡Que no quiero verla!

La luna de par en par.
Caballo de nubes quietas,
y la plaza gris del sueño
con sauces en las barreras.

¡Que no quiero verla!

Que mi recuerdo se quema.
¡Avisad a los jazmines
con su blancura pequeña!

¡Que no quiero verla!

La vaca del viejo mundo
pasaba su triste lengua
sobre un hocico de sangres
derramadas en la arena,
y los toros de Guisando,
casi muerte y casi piedra,
mugieron como dos siglos
hartos de pisar la tierra.
No.
¡Que no quiero verla!

Por las gradas sube Ignacio
con toda su muerte a cuestas.
Buscaba el amanecer,
y el amanecer no era.
Busca su perfil seguro,
y el sueño lo desorienta.
Buscaba su hermoso cuerpo
y encontró su sangre abierta.
¡No me digáis que la vea!
No quiero sentir el chorro
cada vez con menos fuerza;
ese chorro que ilumina
los tendidos y se vuelca
sobre la pana y el cuero
de muchedumbre sedienta.
¡Quién me grita que me asome!
¡No me digáis que la vea!

No se cerraron sus ojos
cuando vió los cuernos cerca,
pero las madres terribles
levantaron la cabeza.
Y a través de las ganaderías,
hubo un aire de voces secretas
que gritaban a toros celestes,
majorales de pálida niebla.
No hubo príncipe en Sevilla
que comparársele pueda,
ni espada como su espada
ni corazón tan de veras.
Como un río de leones
su maravillosa fuerza,
y como un torso de mármol
su dibujada prudencia.
Aire de Roma andaluza
le doraba la cabeza
donde su risa era un nardo
de sal y de inteligencia.
¡Que gran torero en la plaza!
¡Qué buen serrano en la sierra!
¡Qué blando con las espigas!

¡Qué duro con las espuelas!
¡Qué tierno con el rocío!
¡Qué deslumbrante en la feria!

¡Qué tremendo con las últimas
banderillas de tiniebla!

Pero ya duerme sin fin.
Ya los musgos y la hierba
abren con dedos seguros
la flor de su calavera.
Y su sangre ya viene cantando:
cantando por marismas y praderas,
resbalando por cuernos ateridos,
vacilando sin alma por la niebla,
tropezando con miles de pezuñas
como una larga, oscura, triste lengua,
para formar un charco de agonía
junto al Guadalquivir de las estrellas.

¡ Oh blanco muro de España!
¡Oh negro toro de pena!
¡Oh sangre dura de Ignacio!
¡ Oh ruiseñor de sus venas!

No.
¡Que no quiero verla!
Que no hay cáliz que la contenga,
que no hay golondrinas que se la beban,
no hay escarcha de luz que la enfríe,
no hay canto ni diluvio de azucenas,
no hay cristal que la cubra de plata.
No.
¡¡Yo no quiero verla!!

Federico Garcia Lorca

Pia donna Aquileia

Nella triste metapsicologia freudiana campeggia il mito di Edipo. Dopo aver ucciso il padre e posseduto la madre, Edipo si acceca. Non vuole vedere il misfatto? Vuol rendere non avvenuto l'evento? Vuole autopunirsi?

Sciocchezze freudiane. Ingenuità da eruditi. Stupidaggini psicologiche. Tutto è più semplice. Edipo non vuole vedere, cioè non vuole sapere quel che sa. Incarna l'inconscio. Cos'altro è l'inconscio se non voler sapere quel che si sa? Nell'inconscio sapere e resistenza al sapere giocano a fondersi e confondersi dietro un velo di ignoranza, come lo chiama Rawls.

Nella triste mitologia freudiana l'accecamento di Edipo equivale alla castrazione. Al tempo stesso realizza il desiderio di non vedere la castrazione della madre. In realtà tutto questo discorso mitologico va preso con le molle. E' il mito stesso che acceca. La sua apparente verità - i miti servono a dire la verità che non si riesce a dire - cela la "vera" verità. A poco valgono gli aggiustamenti posteriori, le interpretazioni ad hoc del mito, buone per giustificare la dottrina corrente.

Per esempio, l'aggiustamento lacaniano è notevole perché salva gran parte del mito edipico. Che non riguarderebbe il figlio ma la madre. L'interdizione dell'incesto non sarebbe rivolta al figlio ma alla madre, cui vieterebbe di reintegrare in sé il figlio. In questa formulazione il mito salverebbe - il condizionale è obbligatorio - la funzione paterna meglio che nella versione originale di Freud. Non è poco. Inoltre, riguardando la madre avrebbe ricadute sia sulla figlia femmina sia sul figlio maschio, Lacan cancellerebbe l'asimmetria "maschilista" della versione freudiana, cui Jung tentò ingenuamente di ovviare proponendo il mito aggiuntivo di Elettra. Ma la nuova intelligenza del mito resta mitologica. Dal mito, anche da quello meglio formulato, non si esce. Da un mito si passa sempre ad altri miti. Il pianeta dei miti è rotondo, diceva Levi Strauss. Si ritorna sempre al mito di partenza. La mitologia è una prigione senza mura. Imprigiona da dentro. Per uscirne c'è un discorso a monte da fare - come dicevamo nel '68. Bisogna passare a un'altra dimensione. Che per noi è quella scientifica: congetturale e confutabile.

Il punto di partenza per una psicanalisi scientifica è l'intuizione freudiana fondamentale.

Esiste un sapere che non si sa di sapere ancora, ma che è a tutti gli effetti un sapere.

Freud lo chiamava "inconscio" con una scelta terminologica non proprio felice. Perché? perché il termine "inconscio" convoca indirettamente la coscienza, il concetto più ambiguo di tutta la storia della filosofia. A poco valgono le doverose precisazioni, come la seguente relativa alla metafora del velo. Si ha un bel dire di voler decostruire le antiche equazioni

velo = occultamento (volontà di non sapere)

e verità = svelamento,

che si giustificano anche politicamente come volontà del conquistatore, il quale rivela la verità vera al soggetto conquistato. Si ha un bel riconoscere la necessità del velo come quel non-sapere di cui essere consapevoli. In filosofia - qui ha ragione Freud - regna incontrastato il primato della coscienza e della consapevolezza. Tutto il contrario in psicanalisi dove la coscienza e la consapevolezza sono il portato effimero e provvisorio dell'inconscio.

La mia opzione - che dovrebbe essere nota a chi frequenta questo sito - è diversa e, a mio parere, più rispettosa dell'intuizione freudiana di tante opzioni ontologiche. Infatti, l'opzione epistemica, che privilegia il sapere sull'essere (Se sai sei), tratta il mito freudiano con maggior delicatezza di qualunque interpretazione ontologica, che nel bene o nel male prefigura dogmaticamente una certa costituzione dell'essere. Inserendo l'intuizione di Freud all'interno di un apparato formalistico matematico, proprio perché il trattamento sintattico non pregiudica il significato e non è schiavo del senso, mi muovo senza pregiudizi ideologici non ben esplicitati. I limiti della sintassi sono chiari e distinti: sono nei suoi assiomi. Che si possono accettare o rifiutare ma, una volta posti, si devono accettare i teoremi che ne derivano. In effetti, inserendo l'ipotesi freudiana dell'inconscio all'interno di una logica epistemica, che traggo dall'intuizionismo di Brouwer, riesco a derivarne interessanti teoremi. La fecondità è per me epistemologo il più affidabile e operativo criterio di verità.

All'interno della logica intuizionista, che sospende il terzo escluso e la doppia negazione esistenziale, si possono definire operatori epistemici e di desiderio (vedi il mio Una matematica per la psicanalisi, english version). Gli operatori epistemici godono di proprietà "freudiane". Ne elenco alcune: non si può non sapere, se non sai allora saprai, se sai di sapere allora sai, ecc. In questa sede interessa il teorema secondo cui se non sai di sapere, allora sai. E' questo il teorema dell'inconscio o, meglio detto, un suo modo di formularlo.

Con il proposto teorema dell'inconscio siamo al di qua di ogni mitologizzazione. Anzi è proprio il teorema a denunciare la falsità morale - una falsità priva di ogni valore - di ogni mitologizzazione. Infatti, il mito è irriguardoso del non sapere. Con violenza intellettuale impone al non sapere la propria verità metafisica - ossia inverificabile. Quindi, il mito impedisce di venire a sapere nel momento in cui ti fa vedere una verità illusoria . Mitologizzare significa non voler vedere. Significa voler rimanere nell'ignoranza senza acquisirne la consapevolezza. Infatti, il mito non consente di operare con l'ignoranza. Invece, hanno saputo operare con l'ignoranza, "provando e riprovando", tutti i grandi uomini di scienza. Da Galilei in poi, il soggetto della scienza ha saputo "spremere" un po' di sapere dalle proprie improbabili congetture, lanciate come provvisori ponticelli sospesi sull'abisso del non sapere, rimanendo ben consapevole della propria abissale ignoranza.

L'ambiguità è evidente nel caso di Freud. Freud prima dice che esiste un sapere inconscio, che non arriva alla coscienza, e poi afferma che il sapere inconscio è strutturato attorno al mito di Edipo. Prima dice di non sapere e poi dice che sa e sforna la struttura edipica del proprio sapere. Questa è una contraddizione. Prima dici che non sai, poi ti correggi e dici che sai. Allora sai o non sai?

Freud sembra rendersi conto della potenziale contraddizione e per pararsi il c... lascia la mitologia sullo sfondo e si dedica a un progetto di psicologia scientifica: la metapsicologia. La mossa ha fatto cadere la psicanalisi dalla padella nella brace. Infatti, la metapsicologia freudiana non è una scienza cartesiana ma aristotelica. E' una scienza regressiva che a Freud arriva attraverso la medicina ippocratica. La metapsicologia è un'eziologia o scienza delle cause. Per Freud le cause sono le pulsioni. Ci sono pulsioni che funzionano come cause efficienti. Sono le pulsioni sessuali che dovrebbero - al condizionale! - produrre la soddisfazione sessuale. C'è la pulsione di morte, che funziona da causa finale, orientando il funzionamento dell'apparato psichico allo smaltimento dell'energia del trauma. (Quella dell'origine traumatica delle psiconevrosi è una tipica teoria eziologica di stampo medico, che non abbandona Freud dal lontano 1896, all'epoca della Eziologia dell'isteria, fino alla svolta del 1920 con Aldilà del principio di piacere).

La storia di Freud non è originale. Prima o poi tutti i grandi uomini di scienza hanno dimostrato di resistere alle innovazioni introdotte dalla loro stessa scienza e da loro stessi proposte. Darwin mise a repentaglio la propria teoria della selezione naturale con l'ipotesi gradualista. Einstein reagì brutalmente all'indeterminismo della meccanica quantistica, che lui stesso contribuì a formalizzare. Addirittura potrei stilare un elenco di scienziati che a un certo punto della loro vita non ne vollero più sapere di sapere e "fisicamente" sparirono: Majorana, Caffé, Grothendiek... morti prima di morire, praticamente anoressici.

A chi rimane sulla breccia tocca andare avanti e continuare il lavoro degli innovatori. Ma molti preferiscono seguire i maestri e rintanarsi nelle ortodossie, che i maestri stessi hanno, loro malgrado, prodotto. E' questa la triste storia del cosiddetto "movimento psicanalitico": poco movimento, pochissimo psicanalitico. Oggi, sono finite persino le eresie psicanalitiche di un tempo con l'inaugurazione delle relative scuole.

Non voglio vederlo

Curiosamente, già la storia della civiltà cattolica, ben prima della triste storia del movimento psicanalitico, ha fornito il modello dell'accecamento epistemico di fronte al sapere. E' il modello paradigmatico di Israele, che non volle vedere la realtà di Gesù Cristo. Il velo di ignoranza del popolo ebraico è rappresentato come icona da una donna con una mano sugli occhi negli affreschi del XII sec. di Aquileia (cripta massenziana, vedi sopra), da una donna cui l'angelo di Dio copre gli occhi nel bassorilievo dell'Antelami nel duomo di Parma o da una donna velata nella cattedrale di Strasburgo e così via in altri luoghi. (Per ulteriori particolari rimando al libro di Rosella Prezzo "Veli d'occidente", già commentato alla pagina sullo sguardo). In epoca più recente, dopo Israele, bisogna annoverare tra le "ignoranti" la Curia Romana, la stessa che ha condannato Isrtaele come ignorante. E', infatti, l'esempio paradigmatico di "donna" che non volle vedere la scienza nuova dei Bruno e dei Galilei. Si può dire che la Chiesa romana subisce la stessa pena del contrappasso che ha subito Freud. E' condannata alla stessa ignoranza che condanna nell'altro. Così Freud si acceca con le sue stesse mani mitologizzando l'accecamento di Edipo.

(Il più grossolano scotoma scientifico di Freud si realizzò nel cosiddetto "mito dell'orda". Secondo Freud - come già per Hobbes - "la prima umanità avrebbe incarnato l'orda primitiva, che sarebbe giunta allo stato di un civile comportamento solo rinunciando agli istinti e controllando la natura. E di un simile salto non c'è traccia semplicemente perché discendiamo da antenati che erano già del tutto sociali". (Gianfranco Biondi e Olga Rickards, Umani da sei milioni di anni. L'evoluzione della nostra specie, Carocci, Roma 2009, p. 19). La nozione di etica come prodotto dell'evoluzione biologica è forse il prodotto filosoficamente più innovativo di Descent of man (1871) di Darwin (Capp. IV e V). Tanto dovrebbe bastare a dimostrare che Freud non fu mai darwiniano.)

Certo, poi emerge inevitabilmente la questione della femminilità, la sorgente di tutte le ignoranze soggettive. Il non voler sapere è rappresentato dalla donna, perché è la donna che, freudianamente parlando, non vuol saperne della castrazione. Ma, a parte la spiegazione psicologica, che torna a essere mitologica, l'artista intuisce correttamente che il non voler sapere è parte essenziale del sapere. Sapere e non sapere non si separano mai. Anche Freud lo sapeva, quando diceva che il vero psicanalista è colui che sa trattare le resistenze al sapere inconscio.

Insomma, dobbiamo tanto a Freud, nonostante le sue resistenze e le sue propensioni mitologiche, comuni del resto a tutti noi. A Freud dobbiamo la possibilità di una scienza della psicanalisi, nascosta dietro un velo di ignoranza, mitologicamente rappresentato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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