LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, SE NON TI CURI DELLA CURA"

creata il 23 marzo 2012

 

 

“Che la terapia non uccida la scienza” (Seconda versione)

Nel 2003 stavo ancora sotto l’influenza della dottrina lacaniana del significante che rappresenta il soggetto per un altro significante. Di quella dottrina – di un falso maestro – mi affascinava la possibilità di importare nella pratica analitica considerazioni di non senso, come sono quelle determinate dalla ripetizione insensata di significanti senza significato. Perciò al convegno dal titolo “La psicanalisi è una terapia efficace?”, organizzato in quell’anno dalla Cosa freudiana di Roma, presentai una relazione che sviluppava una tesi paradossale che in parte, solo in parte, condivido ancora. Mi sia consentito citare il mio incipit del 2003:

“La storia della psicanalisi vera e propria inizia soltanto con l’innovazione tecnica della rinuncia all’ipnosi”, scrive Freud nel 1914 nella Storia del movimento psicanalitico, a vent’anni dall’evento [della nascita della psicanalisi] (1895). (1) Correggiamo Freud con Freud, affermando che la psicanalisi comincia molto più tardi. Prima del 1920 Freud ha solo l’intuizione preliminare della psicanalisi. La psicanalisi propriamente detta esordisce solo con la pubblicazione nel 1920 di un titolo significativo: Jenseits des Lustprinzips, “Al di là del principio di piacere”. La nostra tesi è che la vera psicanalisi cominci solo con l’innovazione tecnica della rinuncia alla psicoterapia, che è il piacere del medico. La psicanalisi sta “al di là” della psicoterapia”.

La domanda cruciale è allora: quando la psicanalisi va veramente e concretamente al di là della psicoterapia? Il primo passo di Freud verso la psicanalisi, come riconosciuto da Freud stesso, fu la rinuncia all’ipnosi; fu un grande passo in direzione della psicanalisi scientifica. La scienza non può essere ipnotica, cioè asservita al padrone. La scienza dà il segnale di sveglia dall’ipnosi, per esempio religiosa, posto che l'ipnotista sia dio. Tuttavia, fino al 1920, la pratica analitica inventata da Freud, rimase ancora confinata nell’ambito del senso – direi – del buon senso sessuale. Tutto per Freud assumeva un senso sessuale a partire dalle SSI, le scene sessuali infantili. La terapia analitica avrebbe esordito allo scopo di scoprire il senso sessuale nascosto di sintomi e sogni, riproponenti i vissuti di certe esperienze sessuali rimosse da un Io troppo debole per sopportarle. Siamo all’epoca in cui l’inconscio si riduceva al senso latente dei sintomi – senso che la psicoterapia psicanalitica doveva portare alla luce, grazie all’interpretazione. Questa, secondo la mia pratica, non è ancora psicanalisi. Nella misura in cui offre modelli prestabiliti di spiegazione – valga per tutti il modello edipico – l’interpretazione non fa ancora psicanalisi, non fa ancora scienza; fa solo dell’ermeneutica, oggi ormai prevedibile e banalizzata. Come riconosce lo stesso Lacan nel XVII Seminario, a partire da almeno gli anni Settanta l’Edipo non è più utilizzabile di fatto.

Il secondo passo Freud lo compì intorno al 1920. Le prime avvisaglie sono testimoniate nella Lezione XVIII del 1918, intitolata Fissazione al trauma. Certo, ai tempi di quella lezione, il trauma era ancora quello sessuale, ma l’accento non è più sul contenuto sessuale del trauma ma si è spostato sulla sua riproposizione dal passato al presente. Quando, in Al di là del principio di piacere, il trauma cesserà di essere esclusivamente sessuale e diventerà generico, la formulazione definitiva sarà nietzscheana: c’è un’insensatezza nella vita psichica dovuta all’“eterna ripetizione dell’identico”. Il trauma, da quando si instaura, si ripete.

Sembrerebbe che sia stata imbroccata la strada giusta. La ripetizione suggerisce l’idea che, anche nella psiche, esista un meccanismo che potrebbe essere studiato scientificamente. Cos’è un meccanismo? Anche un bambino lo sa: il meccanismo è quello del suo giocattolo. Ci sono delle rotelline che si ingranano l’una con l’altra per azione di una molla e “ripetono” il movimento, finché dura la carica.

Ci siamo? No.

Di fronte ai fenomeni psichici Freud non abbandonò mai l’atteggiamento prescientifico: quello della spiegazione dell’enigma attraverso le cause del fenomeno; prima era la causa sessuale, ora è… lo dico dopo. Anche per Galilei e Newton la gravità era un enigma, ma si guardarono bene dal tentare interpretazioni che la spiegassero. Hypotheses non fingo era il motto di Newton, che ai romanzetti preferiva i teoremi. Galilei avviò uno studio puramente formale, cioè matematico, di quello che “apparentemente” sembrava l’effetto della causa gravitazionale: il moto di caduta dei gravi. Dico e ribadisco “apparentemente”, perché tutto l’armamentario messo in piedi da Galilei e successivamente sviluppato da Newton, per non parlare dell’ulteriore enorme elaborazione di Einstein, si reggeva su un principio indimostrato e indimostrabile, perché metaempirico: il principio di inerzia. (2) A noi oggi sembra scontato ma, ai tempi in cui vigeva indiscusso il principio metafisico aristotelico secondo cui quidquid movetur ab alio movetur, fu una gigantesca rivoluzione filosofica affermare in linea di principio – allora in linea puramente congetturale – che esistono moti senza causa: i moti rettilinei uniformi in assenza di forze.

Del tutto diverso l’atteggiamento intellettuale di Freud, per altro ignaro delle avventure epistemiche di Galilei e Newton, tanto da non citare neppure una volta il primo e una sola volta il secondo in tutte le 7000 pagine delle sue opere, contro le tre colonne di citazioni su Leonardo da Vinci nel registro generale delle GW. Non sto intentando un processo all’analfabetismo scientifico di Freud, che fu enorme ed è fuori discussione. (3) Quel che mi interessa mettere in luce è che, come uomo di scienza, Freud partì con il piede sbagliato; quindi aveva ab initio poche chance di accedere a una psicanalisi scientifica.

Fuor di metafora, Freud esordì con l’atteggiamento enigmistico, che non è particolarmente fecondo in campo scientifico. Il suo eroe fu Edipo, meno perché possedette la madre, ma più come solutore di enigmi. In una delle ultime lettere a Fliess del 12 giugno 1900, Freud si augurava che sulla casa delle vacanze a Bellevue fosse un giorno apposta una lapide che recitasse: “Qui si svelò il 24 luglio 1895 al dott. Sigm. Freud il segreto del sogno”.

Che cosa si svelò? Banalmente, che il sogno aveva una causa (il termine adorato da Freud è quello medico: eziologia): niente di meno che la soddisfazione di un desiderio.

Possiamo dire che il mondo epistemico di Freud era popolato, anzi sovrappopolato, da cause. In ciò era un mondo prescientifico, quasi ilozoistico: ogni ente ha la sua raison d’être, quasi che la causa fosse la sua anima. Ma la scienza moderna non si fa supponendo delle cause; si fa esplorando dei campi dove operano delle simmetrie, che oggi in fisica si distinguono in globali e locali (o di gauge). Il meccanicismo, fondamento delle scienze moderne, ma vituperato dalla scienza antica, (4) è sempre l’espressione di qualche simmetria. La cosa è chiara sin dai tempi di Archimede: la leva sta in equilibrio se a bracci uguali si sospendono pesi uguali. Esiste addirittura un meccanicismo indeterministico, quello del dado per esempio, basato anch’esso su simmetrie. La probabilità che esca l’1 gettando un dado non polarizzato è (per simmetria) 1/6; la probabilità che non esca l’1 è 5/6, il complemento a 1 di 1/6; è facile verificare che 1/6 e 5/6 sono simmetrici (equidistanti) rispetto a ½, che è la situazione di massima incertezza, rappresentata dal lancio di una monetina non polarizzata con due soli esiti: o testa o croce.

Invece – dicevo – il mondo delle teorie freudiane è un mondo popolato da cause strettamente deterministiche. Sono loro che danno senso all’accadere psichico. Il senso freudiano è sempre causale. Questo senso non diventerà mai non senso, cioè acausale. Perché? Perché dietro ogni fenomeno psichico c’è sempre una causa pulsionale. C’è la soddisfazione sessuale? Ci sono le pulsioni orali, anali, genitali, scopiche (ma mai quelle acustiche! (5)) che la producono. C’è l’angoscia? Ci sono le suddette pulsioni che non trovano sfogo (prima teoria) o trovano sfogo in condizioni di pericolo di castrazione sempre incombente (seconda teoria). C’è una ripetizione coatta di comportamenti ingiustificati dal buon senso? C’è una pulsione di morte che tenta di abreagire l’energia introdotta nell’apparato psichico dal trauma, la causa freudiana per eccellenza. Questa è la dietrologia ermeneutica freudiana, che interpreta i fatti psichici all’interno di una cornice di conflittualità intrinseca all’apparato psichico tra pulsioni dell’Es, da una parte, e meccanismi di difesa, rimozioni e censure dell’Io, dall’altro.

E la storia non finisce lì. L’interpretazione eziologica è per sua natura un racconto con qualcosa che vien prima – la causa – e qualcos’altro che vien dopo – l’effetto. Il modello è quello favolistico: C’era una volta un re che era rimasto vedovo, questa è la causa; poi viene l’effetto, la favola di Cenerentola. Allora Freud si preoccupa di fissare le regole della retorica cui la narrazione deve conformarsi; secondo la concezione freudiana il processo primario inconscio è sì senza tempo, essendo una sincronia, ma la sua interpretazione è essenzialmente una diacronia, che obbedisce a regole linguistiche precise: la condensazione (Verdichtung o metafora) e lo spostamento (Verschiebung o metonimia). Sono regole sintattiche universali, indipendenti dal significato, cioè prive di riferimenti semantici. L’inconscio strutturato come un linguaggio è freudiano prima che lacaniano. Ovviamente un inconscio strutturato linguisticamente deve essere adatto a esprimere tutto e il contrario di tutto, come giustamente si richiede a un linguaggio. Così Freud confonde espressione (narrazione) con spiegazione: se qualcosa si può esprimere secondo la sua grammatica, allora la grammatica spiega la cosa. Mai gli viene il sospetto che la grammatica metapsicologica spieghi troppo, rischiando l’autocontraddizione. Una teoria che abbia come teoremi tutti gli enunciati, enuncerà sia A sia non A, quindi sarà ovviamente contraddittoria. (E viceversa, se è contraddittoria, enuncerà tutti gli enunciati, come dimostrò Duns Scoto in secoli bui).

Formalmente, come si vede, non ci siamo; siamo lontani da ogni plausibile spiegazione scientifica. E contenutisticamente? Non siamo messi meglio. Le pulsioni sono istinti biologici? Sono stati selezionati da qualche meccanismo di adeguamento all’ambiente, che favorisse il loro autoriprodursi? Per nulla. Le pulsioni freudiane sono cause aristoteliche, più metafisiche che fisiche. Giustamente, nella Lezione XXXII Freud le riconosce come suoi miti. (6)

Più precisamente le pulsioni sessuali sono cause efficienti, mentre la pulsione di morte è una causa finale. Le pulsioni sessuali sono cause efficienti nel senso che con scarsa efficienza producono la soddisfazione sessuale (Befriedigung), quando ritrovano un generico oggetto pulsionale e si saldano ad esso (verlöten). Quale statuto logico-ontologico assegnare ad esse? Quello della virtus o potenzialità. Lo prefigura Molière, che Freud conosceva bene, avendolo citato ben tre volte nelle GW, ma non l’ultimo intermezzo del Malato immaginario, dove ascoltiamo questo buffo duetto in un bel latino maccheronico:

BACHELERIUS

Mihi a docto Doctore Domandatur causam et rationem quare Opium facit dormire: A quoi respondeo, Quia est in eo Virtus dormitiva, Cuius est natura Sensus assoupire.

CHORUS

Bene, bene, bene, bene respondere: Dignus, dignus est entrare In nostro docto corpore. (7).

La geniale buffoneria di Molière cela una piccola verità; la pulsione come causa efficiente ha una sua particolare efficienza: quella della tautologia o della verità virtuale. Oggi, in tempi di realtà virtuali, sarebbe molto di moda, se la metapsicologia freudiana non fosse decaduta da un bel po’ e di un bel po’ .

E con la pulsione di morte come la mettiamo? La pulsione di morte è ancora una causa, ma finale; è il telos. Qui l'introduzione surrettizia della causalità è più difficile da sgamare, ma non dobbiamo lasciarci ingannare dalla pseudoscientificità freudiana. La causa finale è convocata da Freud per giustificare la coazione a ripetere. L’apparato psichico si ripete nel suo funzionamento, perché c’è una pulsione che lo spinge a ripetersi; grazie alla ripetizione l’apparato psichico realizza la finalità di mantenere lo stato di eccitazione dell’apparato al livello più basso possibile. Ma quella di morte è una pulsione ad hoc; Quine l’avrebbe chiamata un’adhoccheria, Kipling una Just so story. Qui Freud tocca il livello più basso di scientificità della propria costruzione. Infatti, come uomo di scienza avrebbe dovuto sapere che qualunque meccanismo con un numero finito di stati meccanici o di stati epistemici, come è il soggetto dell’inconscio, se funziona nel tempo, a un certo punto è altamente probabile che incorra in uno stato già visitato, e da allora ripeta “spontaneamente”, cioè meccanicamente, una successione di stati già visitati in passato, che si ripeterà identicamente nel futuro; si dice che è entrato in un loop; il meccanicismo, essendo il frutto di simmetrie locali, interne al meccanismo, non ha bisogno di cause globali, esterne ad esso, che lo forzino a ripetersi. A livello soggettivo la ripetizione non è altro che l’estrinsecazione, addirittura precoce – come si vede nel bambino che richiede sempre la ripetizione esatta delle stesse storielle prima di addormentarsi – della finitezza del soggetto. Non occorre postulare nessuna eziologia traumatica.

L’epistemologia freudiana, che non conosce la variabilità statistica, è, dunque, aristotelica: conosce solo lo scire per causas; (8) ignora lo scire per theoremata. A questo punto, a mo’ di conclusione provvisoria, direi che l’epistemologia freudiana è qualcosa di meno che scientifica: è medica. (9) La costruzione freudiana è medica, essendo costruita come un’eziopatogenesi di una comune malattia organica. C’è una causa morbosa al limite tra il somatico e lo psichico: la pulsione sessuale, e c’è una modalità fisiopatologica attraverso cui la causa agisce; gli effetti della causa si estrinsecano sotto forma di ripetizione, essendo questa la forma in cui la pulsione sessuale si “mescola” (Mischung) con la pulsione di morte o si sovrappone ad essa, come due vettori si sommano secondo la regola del parallelogramma. Un quadro fortemente antibiologico, che genera “storie cliniche che si leggono come novelle – è Freud stesso che parla – le quali mancano del marchio della seria scientificità”. (10)

Mancano del marchio della scientificità seria, non perché l’epistemologia freudiana sia positivista, come taluni (sulla scia, per esempio, di Grünbaum) si compiacciono di pensare, ma perché è un’epistemologia medica, essendo radicalmente eziologica. E, dopo la teoria, medica è la pratica clinica che Freud su quella teoria ha basato: la psicoterapia psicanalitica. Da cosa si riconosce che la psicoterapia psicanaliticamente orientata non è psicanalisi ma medicina? Proprio dal fatto che è finalizzata alla cura. La presenza di una causa finale ne sospende, ipso facto, la scientificità. Non sono io a dirlo ma è Cartesio, che considerava pura magia la causa finale e ogni azione a distanza connessa a finalità future.

In medicina la connotazione magica è all’opera come tentativo di ripristinare lo status quo ante, cioè lo stato precedente all’intervento della causa patogena o all’azione dell’agente morboso. La medicina lo fa con i suoi mezzi, cioè con i farmaci, che sono le controcause, che dovrebbero agire nel senso di neutralizzare le cause morbose. E come agirebbe la psicoterapia psicanalitica? Secondo la mitologia freudiana si tratta di riportare l’Io del soggetto allo stadio in cui ha operato la prima rimozione della pulsione per giudicare se quella rimozione è stata sensata oppure no; se è stata sensata la conferma; se è stata insensata, accetta la pulsione. Insomma, alla fine abbiamo ritrovato il buon senso.

Tutto ok, allora? Fino a un certo punto.

Essendo medica, abbiamo la possibilità di giudicare la psicoterapia psicanalitica con i criteri di efficienza con cui si giudica una terapia medica. Qui non entro nei dettagli empirici della valutazione statistica dei risultati di fatto delle psicoterapie psicanalitiche, come tanti hanno già fatto prima di me, perché ho la possibilità di formulare una valutazione di principio assai più stringente delle considerazioni di fatto.

Tutto sommato, il mio giudizio è negativo, cioè di pura e semplice condanna. Mi chiedo e chiedo a chi mi legge di chiedersi: come possono delle cause metafisiche, come sono le pulsioni freudiane, produrre effetti fisici? E poi: come si può, neutralizzando delle cause metafisiche, togliere i supposti effetti fisici che si manifesterebbero nelle malattie mentali? Queste domande sono ovviamente retoriche. Se siamo scientifici, siamo contro la metafisica, quindi siamo a maggior ragione contro le applicazioni della metafisica alla vita quotidiana. Insomma, siamo contro la psicoterapia psicanalitica perché inefficiente in linea di principio, essendo metafisica. (11)

Allora devo rettificare la mia affermazione del 2003: dopo il 1920, non si è instaurata nessuna psicanalisi, ma una seconda versione dell’ipnosi; dopo l’ipnosi basata sulle pulsioni sessuali, abbiamo avuto l’ipnosi basata sulla pulsione di morte, paradigmaticamente entrata nel mercato delle psicoterapie come psicanalisi lacaniana.

E la vera psicanalisi quando avverrà mai?

La mia risposta è semplice e posso ora formularla in modo chiaro e distinto: la psicanalisi avverrà quando cesserà di essere una psicoterapia medica e diventerà una pratica di ricerca scientifica. Nell’affermare questo sono profondamente freudiano, forse più freudiano di Freud, ponendomi al di là dei freudismi, segnatamente la metapsicologia delle pulsioni. “Che la terapia non uccida la scienza” vuol dire il desiderio che la psicanalisi viva; (12) ma vivrà se diventerà scienza e cesserà di essere terapia, cioè medicina. (13)

Lo dico ricorrendo all’artificio retorico del paradosso, sapendo quanto sia insicuro, perché potrebbe produrre qualche fraintendimento. Affermo che la psicanalisi produce i migliori risultati psicoterapeutici a patto di non esercitarla come psicoterapia. Questo, tuttavia, non è un paradosso, ma un teorema; discende da un preciso assioma: psicanalisi e psicoterapia non sono esercizi esercitabili in contemporanea. Psicanalisi e psicoterapia sono legate da una relazione di indeterminazione come posizione e quantità di moto di una particella in meccanica quantistica, che non possono essere determinati contemporaneamente con la precisione voluta.

A questo punto, abbandonata ogni forma di attività psicoterapeutica, cosa resta da fare all’analista e all’analizzante che lo frequenta? Rimangono con le mani in mano a vegliare sulle macerie del freudismo, che una requisitoria puramente logica ha lasciato sul campo?

Le domande giuste portano alle risposte giuste: analista e analizzante possono ora dedicarsi alla costruzione della psicanalisi scientifica. Questa sarà la vera analisi didattica, attuata dall’analista, e la vera psicoterapia ricevuta dall’analizzante. Il punto di partenza giusto è un pacchetto di presupposti freudiani come i seguenti assiomi esistenziali:

1. esiste un sapere che non si sa di sapere; si chiama inconscio (Unbewustes);

2. esiste una rimozione che precede ogni rimozione; si chiama rimozione originaria (Urverdrängung);

3. esiste un effetto ritardato del sapere; questo effetto senza causa si chiama Nachträglichkeit.

Il primo assioma fa parte di un assioma più generale, che da Cartesio in poi informa tutta la modernità: la precedenza del sapere rispetto all’essere. Modernamente vale cogito, sum, non sum, cogito. In particolare, cogito, sum vale per la psicanalisi; sum, cogito per la psicoterapia, che “terapizza” attraverso la conformazione del pensiero all’essere, così come lo vuole la volontà del padrone (il freudiano Super-Io). Conseguenza dell’assioma generale è la radicale modifica – direi: sovversione – del criterio di verità: non vale più l’adeguamento del sapere all’essere (cognitivismo antico e nuovo) ma la fecondità del sapere che, se è vero, genera nuovo sapere. Nella scienza il non sapere genera nuovo sapere attraverso il dubbio cartesiano, che mette alla prova le congetture preesistenti, esponendole alla falsificazione sperimentale. Per via delle supposizioni transferali (vedi avanti), l’analisi si propone come esercizio epistemico che produce nuovo sapere soggettivo a partire dal sapere inconscio.

Il secondo assioma rientra nello statuto del sapere moderno che non è più teologico (Initium sapientiae timor Domini, Salmo 111, 10) e non conosce l’onniscienza. I grandi teoremi limitativi del secolo scorso, quello sintattico di Gödel (esistono enunciati indecidibili in ogni sistema assiomatico coerente), quello semantico di Tarski (non esiste il predicato “verità” che dica il vero sul vero) e quello computazionale di Turing (non esiste la macchina che, per ogni macchina, dica prima cosa fa), stabiliscono che il sapere moderno è essenzialmente incompleto e incompletabile (neppure completabile al limite del progresso scientifico, inteso in senso illuministico). Che ci sia una rimozione originaria rende l’analisi, che è sincronicamente infinita, diacronicamente interminabile. L’ossessione freudiana per la completezza dell’analisi, da raggiungere al suo termine, era semplicemente un suo sintomo nevrotico da collezionista di anticaglie.

Il terzo assioma è quello che ci riguarda più da vicino sia in teoria sia in pratica. Concludo sviluppandolo.

In vista di sviluppi psicanalitici, una modalità per riformulare concretamente l’assioma della Nachträglichkeit è quella adottata da Spinoza e Brouwer, due pensatori olandesi “intuizionisti”. Si tratta di abbandonare la concezione ontologica e sottoscrivere una concezione epistemica dei valori di verità: “vero” e “falso”. Il vero non è più l’essere che è; il falso non è più il non essere che non è. Finalmente la logica si distacca dall’ontologia e diventa epistemica: il vero è sapere la dimostrazione di un enunciato, il falso non saperla. Questa conversione porta a due risultati rilevanti: la logica si apre alla dimensione congetturale, che è fuorclusa dalla logica ontologica, e inaugura il tempo del sapere.

Sulla dimensione congetturale dispongo di una comunicazione personale di Lacan stesso, che nel 1974 a Milano rispose alla mia domanda sul valore della congettura con queste parole: “Je considère que cette façon de manipuler la vérité c’est le propre même de la conjecture, c’est transposer la vérité sur le plan de la conjecture”. (14) La congettura è intuizionisticamente falsa, nel senso che è in attesa – ecco la funzione logica del tempo epistemico – di dimostrazione (allora diventa vera) o di confutazione (allora diventa definitivamente falsa). Nel frattempo la congettura transita da un valore di verità falso a un valore di verità meno falso, producendo altre congetture, cioè rispondendo al criterio epistemico di fecondità. È come in analisi, dove un’interpretazione si dimostra vera non se corrisponde a un particolare biografico dimenticato (criterio dell’adeguamento), ma se produce l’affiorare di nuovo materiale inconscio (criterio di fecondità nel tempo (15)). Insomma, stando a Lacan, nella logica analitica non esiste la verità categorica e assoluta, data una volta per tutte all’origine dei tempi, ma “en fin de compte il n’y a jamais de vérité que supposée vérité”. (16)

Al tempo di questa affermazione erano già dieci anni che Lacan lavorava all’impostazione scientifica del transfert in analisi secondo criteri epistemici di verità. Lacan divenne famoso anche tra i profani sbandierando il suo programma di ritorno a Freud. Una frottola di facciata, buona per promuovere la vendita della psicanalisi sul mercato delle psicoterapie, già colonizzato da Freud. In realtà, Lacan superò Freud a tutti gli effetti, proponendo la transizione della teoria e della pratica psicanalitiche dal piano ontologico della ripetizione a quello epistemico delle supposizioni. Le sedute brevi dell’analista parigino testimoniano la transizione dal tempo “lungo” della narrazione a quello “breve” della supposizione.

Tutto cominciò con il seminario del 1964 sui Quattro concetti fondamentali della psicanalisi. La svolta epistemica di Lacan avvenne precisamente il 17 giugno 1964. (17) In quell’occasione Lacan propose come sorgente di transfert nella cura analitica la supposizione di sapere. Il soggetto in analisi è un soggetto supposto sapere. Il soggetto supposto sapere è un soggetto delocalizzato: è di volta in volta l’analizzante o l’analista; è l’analizzante in quanto si suppone che abbia un sapere che non sa di sapere, cioè un inconscio; è l’analista in quanto si suppone che ci sappia fare con questa forma di ignoranza innata. I due soggetti operano sincronicamente nella seduta, dove producono un po’ di teoria falsificando certi modi di pensare, precedentemente acquisiti: l’analizzante nella propria infanzia, durante le rimozioni infantili, l’analista durante la formazione, acquisendo le rimozioni e i tic mentali collettivi della scuola dove si è formato.

L’argomento meriterebbe un libro a sé. Qui mi limito a segnalare la coerenza della proposta lacaniana con gli assiomi freudiani. La supposizione di sapere, infatti, non contraddice né il primo assioma dell’esistenza di un sapere che non si sa di sapere, su cui si fanno supposizioni, né il secondo assioma della rimozione originaria che apre lo spazio dove si possono esercitare le supposizioni. Infine, la supposizione, avendo una sua vita epistemica nell’arco di tempo che va dalla formulazione alla decadenza, quando sarà o confermata o confutata, concorda con l’assioma temporale della Nachträglichkeit.

La transizione dall’ontologia all’epistemologia ha delle ricadute positive anche sul piano dell’efficienza terapeutica della cura psicanalitica. Considerato il transfert sul piano ontologico, come ripetizione di eventi del passato, è chiaro che la cura, nonostante tutti gli sforzi ermeneutici, non può modificare il passato. Invece, posto il transfert sul piano epistemico, è chiaro che si può concepire una trasformazione del vecchio sapere del passato in nuovo sapere del presente. Questa trasformazione può essere la premessa per dismettere il vecchio habitus nevrotico.

Ci sono molti aspetti di questa dialettica epistemica da mettere in evidenza. Ne segnalo solo due. In estrema sintesi, la rivoluzione epistemica in psicanalisi produce risultati significativi sia sul piano clinico sia sul piano teorico.

Sul piano clinico, offre la giusta sistemazione dei fenomeni odioamorosi di transfert, sottraendoli a interpretazioni inclini alla paranoia. L’analizzante ama chi suppone sappia e odia chi suppone non sappia. Il lavoro analitico consiste nel percorrere più volte questa oscillazione epistemica, che si produce nel concreto della seduta, poco importa che sia il modello di eventi del passato, anche perché certamente lo è; ma sulla certezza non si lavora scientificamente; si lavora scientificamente sull’incertezza e sul dubbio.

Sul piano teorico la dialettica della certezza/incertezza epistemica fa piazza pulita di quel massiccio ingombro concettuale che è la cosiddetta “analisi didattica”. Non c’è analisi didattica, perché se c’è un maestro, lì non c’è incertezza, quindi non c’è spazio per esercitare supposizioni; allora il transfert non si instaura e l’analisi ristagna, quando addirittura non parte. Allo stesso modo si spiega perché l’analisi non si possa fare leggendo libri. I libri offrono un sapere certo (certificato); ancora una volta non danno spazio alle congetture e al transfert.

Insomma, la psicanalisi sopravviverà, se tornerà a essere quel che non è mai stata: un lavoro scientifico sulle congetture epistemiche, dimenticando ogni affanno terapeutico.

Note

(1) S. Freud, “Zur Geschichte der psychoanalytischen Bewegung” (1914), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. X, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 54, trad. A. Staude e R. Colorni, “Per la storia del movimento psicoanalitico”, in Opere di Sigmund Freud, vol. VII, Boringhieri, Torino 1975, p. 389. (Torna su).

(2) Oggi, il principio di inerzia, lungi dall’essere giustificato empiricamente, si rinforza in linea di principio come generalizzazione metaempirica. Secondo l’algoritmo tensoriale, i teoremi della fisica si scrivono allo stesso modo in qualunque spazio, indipendentemente dal sistema di coordinate. (Torna su).

(3) Anche in biologia Freud non si dimostra molto aggiornato. Non cita Mendel, i cui scritti furono riscoperti quando stava scrivendo i Tre saggi. Nel Gesamtregister delle GW conto 27 citazioni di Darwin, per altro strumentali alla giustificazione della supposta origine darwiniana (?) del mito dell’orda. In biologia Freud fu lamarckiano, ma prudentemente non esternò mai la propria inclinazione. Lamarck, 0 citazioni. (Torna su).

(4) Il vituperio è stato ereditato dal moderno umanesimo. Poiché il meccanicismo prevede il calcolo delle simmetrie, la scienza è calcolante, quindi, secondo Heidegger, non pensante. v. M. Heidegger, Che cosa significa pensare (1954), trad. U. Ugazio e G. Vattimo, Sugarco, Milano 1988, p. 41. (Torna su)

(5) Freud era musicalmente sordo. Cita la musica come sublimazione una sola volta in una nota al caso del piccolo Hans. La sua sordità lo porta a misconoscere l’esistenza di un oggetto pulsionale tanto rilevante quanto la voce. Da medico qual era, riconosce, invece, la rilevanza dell’oggetto sguardo (l’occhio clinico) (Torna su).

(6) S. Freud, “XXXII Vorlesung” (1933), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XV, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 101, trad. M. Tonin Dogana ed E. Sagittario, “Lezione 32”, in Opere di Sigmund Freud, vol. XI, Boringhieri, Torino 1979, p. 191. (Torna su)

(7) Molière, Le malade imaginaire (1673), Bordas, Paris 1994, p. 155. La formula del rito di passaggio era nota anche a Lacan, che molto à propos, trattandosi di causalità, la cita in Propos sur la causalité psychique (1946), v. J. Lacan, Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 162. (Torna su)

(8) È Freud stesso a proporre questa ricostruzione eziologica della propria metapsicologia pulsionale nella già citata Lezione XVIII: la causa efficiente agisce a partire “da che cosa” (woher), la causa finale agisce “per che cosa” (wohin o wozu). (Torna su)

(9) Non si cada nella diffusa fallacia, in cui cadde anche Freud, di considerare la medicina una scienza. La medicina è una tecnica che sfrutta tutte le scienze, applicando i loro risultati, ma non è scienza autonoma. (Torna su)

(10) S. Freud, “Studien über Hysterie” (1895), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. I, Fischer, Frankfurt a.M, 1999, p. 227, trad. C.F. Piazza, “Studi sull’isteria”, in Opere di Sigmund Freud, vol I, Boringhieri, Torino 1967, p. 313. (Torna su)

(11) Un grande filosofo, recentemente scomparso, Jacques Derrida, parlava di violenza della metafisica. Concordo con lui. Sotto le specie della generalità e dell’astrattezza la metafisica convoglia nella vita quotidiana una precisa e concreta violenza: la volontà omogeneizzatrice del potere dominante. Nel caso della psicoterapia è evidente. C’è stata in Italia una precisa e concreta volontà del potere di regolamentare con una legge, la 56/89, l’esercizio della psicoterapia, al fine di escludere la psicanalisi, identificata alla psicoterapia, da ogni possibile libero esercizio scientifico. (Torna su)

(12) Cfr. S. Freud, “Die Frage der Laienanalyse (1926-1927), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. XIV, Fischer, Frankfurt a.M 1999, p. 291, trad. “Il problema dell’analisi condotta da non medici. Poscritto”, trad. R. Colorni, in Opere di Sigmund Freud, vol. X, Boringhieri, Torino 1978, p. 419. La terapia uccide la scienza mortificando le facoltà di congetturare degli uomini di scienza, per esempio imponendo loro di pensare all'interno dello schematismo eziologico. La problematica è completamente obliterata dalla traduzione ufficiale italiana delle Opere di Sigmund Freud, che, proponendo “che la terapia non soverchi la scienza”, si distingue per filisteismo. (Torna su).

(13) “Terapia, cioè medicina”. Questo “cioè” è difficile da inghiottire, soprattutto da parte degli analisti non medici, che ancora oggi sognano una “terapia soft non medica”. Espressamente a loro dico che non esistono terapie non mediche. Le terapie psicologiche o sono mediche (sotto false spoglie) o non sono terapie. Purtroppo, quando Freud pronunciò quelle parole contro la terapia, il misfatto era già stato da lunga pezza perpetrato: la psicanalisi era già stata ingabbiata nella metapsicologia medica. Scrivere un pamphlet come La questione dell’analisi laica fu da parte di Freud come chiudere la stalla dopo che i buoi erano scappati. (Torna su).

(14) “Ritengo che il modo di manipolare la verità come valore sia lo specifico della congettura; è trasporre la verità sul piano della congettura”. Lacan in Italia, 1953-1978, La Salamandra, Milano 1978, p. 130. (Torna su)

(15) Così, il principio di inerzia di Galilei si è dimostrato vero nel tempo non perché sia stato empiricamente confermato, ma perché ha prodotto nuove teorie: da quella di Newton a quella di Einstein. Freud, invece, rimase ancorato al principio di verità prescientifica e cercava disperatamente la conferma empirica alle proprie mitologie. L'empirismo fu la culla e la tomba della dottrina freudiana. (Torna su)

(16) “In fin dei conti non esiste altra verità che supposta”, ibidem. Questo è esattamente lo statuto della verità scientifica, che è sempre condizionata, cioè è del tipo se A allora B, dove A è la verità congetturale di principio, in linea di principio indimostrata, cioè falsa, che produce la verità di B, da falsificare empiricamente. La scienza moderna opera con il falso; l’antica con il vero. La prima preferisce confutare, la seconda confermare. (Torna su)

(17) J. Lacan, Le Séminaire. Livre XI. Les quatre concepts fondamenteaux de la psychanalyse (1964), Seuil, Paris 1973, p. 209. (Torna su)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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