LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI DIVENTARE SOGGETTO DEL SAPERE"
aggiornata il 16 febbraio 2010

 

 

Hai fatto questo percorso:

vieni da "sapere in divenire"; sei in "sapere del soggetto"

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Il soggetto dell'inconscio freudiano è il soggetto cartesiano della scienza.

Mutuo questa tesi da Lacan, che a sua volta la mutua da Husserl. "Desidero, c'est le cogito freudien". (J. Lacan, Le Séminaire. Livre XI, Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse (1964), Seuil, Paris 1973, p. 141). Lacan applica la veduta fenomenologica a quella particolare scienza moderna che è la psicanalisi. Io credo di poter fare a meno del riferimento fenomenologico. In un certo senso ritorno a Cartesio, senza illudermi di superarlo (Lacan) o trascendentalizzarlo (Husserl).

Il soggetto dell'inconscio è epistemico. Produce sapere dal non sapere. O meglio e in modo più completo: attraverso le formazioni sintomatiche - sogni, lapsus, transfert e sintomi - il soggetto dell'inconscio produce sapere, partendo da un sapere che non sa ancora di sapere.

Secondo questa concezione "scientifica" l'inconscio è sapere non ancora saputo.

E' la concezione del tempo logico come tempo epistemico.

Un buon assaggio sul tema è l'articolo di Peter Widmer, psicanalista a Zurigo, pubblicato su "aut aut" 333, 2007, p. 151:

Cartesio e Lacan. Quanto la psicanalisi è cartesiana

La versione tedesca integrale è a questo link. Tuttavia, data la costante presenza di questo testo ai primi posti della classifica di download dal sito, ho deciso di collocare nel sito anche il testo integrale italiano, che per la pubblicazione su "aut aut" è stato decurtato delle formule dei matemi lacaniani. Versione italiana integrale. I fenomenologi hanno una paura indiscriminata delle formule, con il risultato che non hanno ancora imparato a distinguere la matematica vera da quella falsa. Il testo di Peter Widmer getta luce sul nodo fondamentale del lacanismo, che mutua dalla fenomenologia l'esigenza di "fondare" il soggetto, ma aggiunge alla fenomenologia l'esigenza scientifica di ripensare l'oggetto - esigenza in sostanza estranea alla fenomenologia, nonostante il suo slogan programmatico: "Verso le cose stesse". Infatti, la fenomenologia non pensa le cose ma le essenze delle cose, che secondo Husserl sono un "oggetto di nuova specie" (Edmund Husserl, Idee I, § 3). Il metodo della fenomenologia - sostanzialmente un trucco platonico (Ivi, § 22) - si chiama appunto riduzione trascendentale o fenomenologica o eidetica (Ivi, §§ 33, 50). "La fenomenologia è lo studio delle essenze" (Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione (1945), trad. Andrea Bonomi, Il Saggiatore, Milano 1965, p. 15). Le essenze sono roba vecchia, prescientifica. Di infinito - cioè dell'oggetto della scienza moderna - non si parla in fenomenologia. E probabilmente a ragione, perchè l'infinito, essendo non categorico, non ha un'unica essenza. Perciò non si può parlare fenomenologicamente dell'infinito, un oggetto che sfugge all'esperienza - non è empirico - tanto quanto la formulazione del concetto esula dalle categorie correnti - non è razionale.

Di scrittura più spigliata, e forse più vicino alle tesi sviluppate in questo sito, è il saggio dello psicanalista zurighese Olaf Knellessen:

Accelerazioni. Sull’infinito in psicanalisi e nei nuovi media.

(Beschleunigungen. Zum Unendlichen in der Psychoanalyse und in den neuen
Medien
).

Nella relazione al Congresso di Salerno dell'ottobre 2005 sulla "Mente estatica" (di non prossima pubblicazione data la morte precoce di Angela Putino, che organizzò l'incontro) dimostro la tesi della finitezza del soggetto e sviluppo la congettura dell'infinitezza dell'oggetto, a partire dalla sospensione del principio del terzo escluso (TE):

La mente che non c'è.

Questo lavoro sintetizza un volume uscito da Riss Verlag (Zürich 2004), intitolato Das Unendliche und das Subjekt (trad. L'infinito e il soggetto), frutto di un seminario di due giorni tenuto a Zurigo nel marzo del 2000. Primo giorno il tempo (logica), secondo lo spazio (topologia). Non esiste l'edizione italiana.

La tesi che informa tutto il lavoro di ricerca, documentato in questo sito, è che il soggetto della scienza non solo non è fuorcluso dall'attività scientifica, ma è presente in ogni sua congettura e in ogni suo teorema, forse più nelle congetture che nei teoremi.

L'esempio paradigmatico, per non dire tragico - perché si concluse tragicamente - di emergenza del soggetto tra le ardue formule della meccanica statistica è quello di Ludwig Boltzmann (1844-1906), morto suicida a Duino al termine di un lungo periodo di depressione, causato in parte dai fallimenti nel dimostrare rigorosamente il proprio teorema H dell'aumento costante dell'entropia in un sistema isolato. (Il teorema fu dimostrato dal suo allievo Paul Ehrenfest (1880-1933), più tardi suicidatosi insieme alla moglie).

Boltzmann - capitò a pochi: Galilei, Cartesio e gli elettromagnetici del XIX secolo, Ampère, Oersted, Weber e altri - inventò una nuova grandezza fisica, in particolare termodinamica, l'entropia. L'entropia, oggi diventata sinonimo di informazione, sembra una grandezza oggettiva, rispondente ai canoni della scienza positivistica dell'epoca, quantitativa, deterministica e oggettiva. (Una scienza ormai obsoleta, ai tempi dominata dalla figura autoritaria di Ernst Mach (1838-1916), il quale andava gridando in pubblico, magari dopo una conferenza di Boltzman sulla teoria cinetica dei gas: "Gli atomi non esistono"). Invece, l'entropia è una grandezza non solo oggettiva, ma anche soggettiva, in quanto incorpora l'ignoranza del soggetto. C'è entropia, perché Tu non conosci in dettaglio il microstato di un sistema di N particelle. Non lo conosci perchè è determinato da un numero spaventoso di coordinate: 6N, tre coordinate di posizione e tre velocità per ciascuna delle N particelle componenti. (Un cm cubo di aria contiene qualcosa come 10 elevato alla 19 particelle). Nell'ignoranza - la stessa ignoranza sull'uscita di Testa o Croce nel lancio di una moneta - sei costretto a raggruppare i diversi possibili microstati in un certo numero (assai minore) di macrostati, ciascuno caratterizzato da una propria entropia, cioè dal logaritmo della numerosità delle particelle che riempiono quel macrostato.

Il teorema H asserisce che il sistema evolve in probabilità dallo stato di minima a quello di massima entropia. Il sistema, cioè, passa più facilmente dal macrostato meno ricco di microstati (antropomorficamente più ordinato) allo stato più ricco di microstati (antropomorficamente più disordinato) che non viceversa. Il passaggio è probabilistico, non deterministico. Può avvenire, non avvenire o avvenire in senso inverso, ma le probabilità che avvenga dallo stato a entropia minore a quello a entropia maggiore sono solitamente di gran lunga superiori alle altre. Perciò il sistema evolve "spontaneamente" verso la massima entropia. (La scienza degli eventi "spontanei", non determinati da una causa, si distingue dalla scienza, sostanzialmente pregalileiana, degli effetti, determinati da una causa ben precisa).

Faccio un esempio ipersemplificato. Ammettiamo che le particelle siano 10. Ognuna ha la stessa probabilità di essere o non essere in un certo macrostato. Diciamo che vedo la particella colorata di nero, se è nel macrostato, e di bianco se non è nel macrostato. Osservo il sistema. Vedo che è formato da 6 particelle nere e 4 bianche. Il calcolo combinatorio mi dice - senza doverli contare uno per uno - che tale macrostato è formato 210 microstati. (Basta calcolare il coefficiente binomiale di 6 su 10). Verso dove evolve il sistema? verso il macrostato formato da 7 particelle nere e 3 bianche (formato da 120 microstati) o verso il macrostato formato da 5 particelle bianche e 5 nere (formato da 252 microstati)? Il teorema H risponde che il sistema evolverà (molto) più probabilmente verso lo stato (5,5), che ha entropia maggiore dello stato (7,3).

E' chiaro che, se Tu fossi dio e conoscessi il microstato del sistema, potresti calcolarne l'evoluzione certa, deterministicamente definita dalle equazioni differenziali di Lagrange, le quali danno le posizioni e le velocità delle particelle del sistema al tempo t+dt, note le posizioni e le velocità al tempo t.

Nella sua banalità l'esempio delle dieci particelle consente un certo approfindimento epistemologico.

Il filosofo logocentrico, per es. Heidegger, disprezza il pensiero scientifico, qualificandolo come “calcolante” (mentre il pensiero filosofico si aprirebbe all’essere senza applicare formule precostituite). Il filosofo logocentrico è ignorante di scienza nel senso attivo e pieno del termine, cioè non vuole sapere nulla di qualcosa che sappia di scienza. Se dentro alla scienza ci mettesse almeno la punta del naso, il filosofo constaterebbe di persona che l’uomo di scienza non calcola, come farebbe l’ingegnere per progettare un ponte, ma calcola sui calcoli, cioè metacalcola. L’esempio dell’entropia è evidente. Non posso calcolare l’evoluzione deterministica del sistema, perché i calcoli sono fuori dalla portata di qualunque computer umano. Allora mi rivolgo a un'approssimazione probabilistica, raggruppando i microstati in macrostati, e calcolando delle probabilità medie di transizione da un macrostato all’altro. Possa anche calcolare una grandezza riassuntiva, l’entropia, che mi indica la direzione più probabile di evoluzione.
Insomma, bisogna sfatare il luogo comune messo in circolazione da Koyré, secondo il quale con l’avvento della scienza si passerebbe dal mondo qualitativo del pressapoco al mondo quantitativo della precisione. La differenza tra antico e moderno non sta lì, ma tra finito e infinito. L’infinito richiede in modo specifico buone approssimazioni, essendo una struttura non categorica, cioè non esattamente concettualizzabile. L’uomo di scienza sa trovare l’approssimazione giusta, cioè non solo adeguata alla realtà (all’infinito non c’è adeguamento) ma feconda di nuove teorie, cioè di nuove approssimazioni. La legge di Galilei del moto uniformemente accelerato è una buona approssimazione, che prepara la fisica newtoniana, a sua volta buona approssimazione alla fisica einsteiniana. Il teorema H di Boltzmann è una buona approssimazione, che prepara la fisica quantistica, a sua volta buona approssimazione a...
Le buone approssimazioni filosofiche che preparino ad alcunché sono più rare di quelle scientifiche. Io ne conosco solo due. L’approssimazione cartesiana – la distinzione tra res cogitans e res extensa – che prepara la scienza moderna e l’approssimazione freudiana – la distinzione tra conscio e inconscio – che prepara la psicanalisi.

Ancora una precisazione. La probabilità in gioco nel teorema H dell'entropia è una probabilità epistemica. Dipende dalla nostra ignoranza. Mezzo secolo dopo la prima formulazione del teorema H di Boltzmann (1872), si afferma in fisica la probabilità ontologica, relativa all'essere in quanto tale e indipendente dalla nostra ignoranza. Le formulazioni più note sono il principio di complementarità di Bohr o il principio di indeterminazione di Heisenberg (1927). Direbbe Lacan: "C'è un sapere nel reale", che tu non puoi sapere del tutto. Non puoi sapere prima da quale di due fenditure passerà il fotone. Prima della registrazione con un fotomoltiplicatore, il fotone passa da entrambe le fenditure, come un'onda. (Infatti genera figure di interferenza come le onde in uno stagno). Dopo la registrazione, è già passato da una sola fenditura - ma non sai prima quale - con probabilità 1/2, come una particella stocastica, cioè... come una monetina.

Dall'indeterterminazione all'incompletezza – questi due pilastri della scienza moderna – il passo è breve. Riporto la conclusione di un testo ormai classico in proposito:

"Tutto quello che è possibile conoscere dello stato di un sistema a un dato istante, mediante esperienze fatte a quell’istante, è possibile conoscerlo anche mediante opportune esperienze fatte ad un qualsiasi istante antecedente o seguente a quello che si considera. In questo senso dunque l’indeterminazione del sistema non viene per così dire a crescere col passare del tempo. Sarebbe però errato concludere da questo che i rapporti di causalità validi secondo la meccanica quantistica siano identici a quelli che valgono nelle teorie classiche. In queste ultime si può infatti, con opportune misure fatte sul sistema al tempo 0, prevedere il valore di qualsiasi grandezza fisica (funzione di x e p) a qualsiasi tempo. Invece, secondo la meccanica quantistica si può, al tempo 0, fare una misura che permetta di conoscere il valore che avrà una determinata grandezza a un determinato tempo. Però se si volesse conoscere il valore di un’altra grandezza fisica o eventualmente anche della stessa grandezza a un istante diverso, occorrerebbe effettuare all’istante 0 una misura differente, incompatibile, almeno in generale, con la precedente." (Enrico Fermi, L’interpretazione del principio di causalità nella meccanica quantistica [1930])

Ricordo che sull'inaccessibilità ontologica al sapere nel reale si basa la crittografia quantistica, l'unica sicura e non decifrabile. Considero la crittografia quantistica un modello astratto dell'inconscio freudiano, che rimane sostanzialmente protorimosso, nonostante tutti i tentivi di decrittazione psicanalitica. In questo modello lo psicanalista funziona come il crittoanalista, che tenta di decifrare il messaggio che l'altro invia al soggetto. Il "compito infinito" del crittoanalista, esattamente come quello dello psicanalista, tende a essere impossibile, se si usano tecniche quantistiche di cifratura.

Dov'è il soggetto? chiederebbe a questo punto Gretchen a Faust. "Credi in dio?".

Il soggetto, da Cartesio in poi, è sempre e solo lì: nell'incertezza. Chi, come il fenomenologo, sostiene che la scienza fuorclude il soggetto - "la scienza non pensa" - commette due errori. Un errore oggettivo, perché nella scienza c'è soggetto, come abbiamo appena visto. Lo chiamerei il soggetto della buona approssimazione (nell'ignoranza?). E un errore soggettivo, perchè dimostra di non volersi aprire al nuovo sapere. In parole povere, il fenomenologo vuole rimanere attivamente ignorante. (Naturalmente, ne ha il diritto). Vuole ignorare che nella modernità esiste un'incertezza gravida di soggettività.

Detto ancora meglio, il fenomenologo non vuole riconfigurare il proprio sapere. Vuole, in particolare, rimanere fissato al vecchio sapere ippocratico-aristotelico (essenzialistico ed eziologico) e ignorare che l'avvento del soggetto della scienza avviene nel dubbio e corre parallelo al decadimento del principio eziologico di ragion sufficiente. Nella scienza moderna si cessa di pretendere che per ogni effetto esista una causa che lo determina. Questa metafisica - essenzialmente deterministica, ancora più deterministica del più becero positivismo - è ormai obsoleta. L'incertezza tipica della meccanica quantistica è che esistono effetti senza cause, teoricamente previste. Si dice anche che la meccanica quantistica è una teoria incompleta, come l'aritmetica. E aggiungo volentieri:

come la psicanalisi.

Per una visione d'insieme dei rapporti tra soggetto, oggetto e corpo rimando alla pagina sapere dello spazio o topologia, nonché alla pagina sapere degli oggetti, per le acute considerazioni di Wolfang Pauli, premio Nobel per la fisica del 1945, sulla natura della coscienza come effetto paradossale del rapporto tra soggetto e oggetto. Il paradosso di Pauli - propongo di chiamarlo così - è che non esiste coscienza senza inconscio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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