LA PSICANALISI SECONDO
SCIACCHITANO

"TU PUOI SAPERE, SE GUARDI COME FACCIO IO"
pagina creata il 21 luglio 2008 aggiornata il 24 ottobre 2011

 

 

Vieni da "scienziati". Sei in "Alain Turing"

“Ho notato – disse il signor K – che la nostra dottrina spaventa tanti perché ha una risposta a tutto. Nell’interesse della propaganda non potremmo fare una lista di problemi irrisolti?”
Bertolt Brecht, Storie da calendario.

Quando gli uomini sono liberi di fare quel che vogliono, si imitano l’un l’altro.
Anonimo

Perché scrivere una pagina su Turing?
Perché ce n’è già una su Gödel? O per spiegare la differenza tra il lavoro di Gödel e quello di Turing?
Già questo sarebbe un buon motivo. Infatti, la differenza tra i due giganti della logica moderna è piccola ma importante. Forse chiarirla può servire all’analista che intenda avviare uno discorso intorno alla psicanalisi come scienza dell'ignoranza.
Entrambi, Gödel e Turing, hanno lavorato al secondo problema di Hilbert, noto negli ambienti specialistici come Entscheidungsproblem o problema della decisione, risolvendolo in senso negativo in modi diversi benché fondamentalmente analoghi.

Di cosa si trattava?

Hilbert era un formalista. Auspicava la riduzione al finito della matematica, che pure tratta l’infinito. Era convinto, cioè, che tutta la matematica si potesse ridurre a un pacchetto finito di assiomi da cui derivare, con un numero finito di regole prestabilite, tutte – ma proprio tutte – le verità matematiche e null’altro che quelle. Però, onestamente, cioè scientificamente, non poteva sottrarsi alla questione della Entscheidung, della decisione: esiste una procedura per decidere (entscheiden) se un’espressione della logica dei predicati del primo ordine (quella che quantifica le variabili con i quantificatori universale ed esistenziale) è valida – cioè vera in ogni universo possibile, finito o infinito che sia, ossia comunque si interpretino le variabili individuali e funzionali? Hilbert congetturava di sì. Il suo programma epistemico era leibniziano. Calculemus! esortava Leibniz. Sulla scorta di Leibniz Hilbert cercava un algoritmo – una procedura di calcolo – di portata tale da ridurre tutti i ragionamenti matematici a puro calcolo da eseguire in modo meccanico. L’Entscheidungsproblem era il secondo di una lista di 23 problemi irrisolti, presentata al Congresso di Parigi del 1900.
Gli andò male, a Hilbert. Nel 1931, l’anno dopo aver dimostrato che la logica è completa (cioè che ogni proposizione logica valida è dimostrabile), Gödel abbattè definitivamente il programma logocentrico leibniziano, dimostrando che l’aritmetica è incompleta. Precisamente dimostrò che, se l’aritmetica è coerente (in realtà omega-coerente, mi corregge il professore), esiste almeno un enunciato aritmetico che non è né dimostrabile né confutabile. E poi diede un esempio di un'enunciazione aritmetica (in realtà metaaritmetica, mi corregge ancora il professore) né dimostrabile né confutabile: la coerenza stessa dell'aritmetica! Se la matematica è coerente, la coerenza non è dimostrabile. Poiché sia la dimostrazione sia la confutazione sono procedimenti di calcolo, che partono da certe premesse e arrivano a certe conclusioni in modo effettivo, il programma di Hilbert decadeva. Non esiste una procedura interna alla matematica per dimostrare automaticamente tutte le verità matematiche.

Tutto chiaro. C’era bisogno di tornare a rivangare l’Entscheidungsproblem?
In un certo senso sì. In fondo, Gödel aveva operato all’interno dell’aritmetica, addirittura all’interno di un particolare sistema formalizzato, i Principia matematica di Russel e Whitehead. Può darsi che i limiti trovati da Gödel fossero dovuti al particolare sistema adottato. Che dire di un sistema qualunque? Ciò significa porsi all’esterno della matematica e chiedersi: la classe di tutti i sistemi matematici è completa o incompleta? Questa è la questione di Turing. Per rispondere alla quale Turing approntò la sua famosa “macchina di Turing” universale, una macchina "teorica" che simula il comportamento di tutte le macchine di calcolo, semplicemente equipaggiandola con la descrizione – in realtà basta l’etichetta – della macchina da simulare. Ricorrendo all’argomento diagonale di Cantor, Turing dimostrò che la macchina universale non può simulare il comportamento di una macchina che dica se una certa macchina o si fermerà, fornendo il risultato del calcolo, oppure andrà avanti a calcolare all’infinito (problema della fermata), semplicemente perché tale macchina "decisionale" non  esiste (se esistesse, sarebbe autocontraddittoria). In fondo, Turing dimostrò qualcosa di molto simile al teorema di Gödel. Cioè, che non si può dimostrare di ogni enunciato matematico se sia oppure non sia dimostrabile. E praticamente è così. Finché si rimane all’interno di un ben preciso sistema formalizzato (per esempio all’interno di un sistema di logica epistemica cognitiva (come S4 di Lewis) o scientifica (come l’intuizionismo di Brouwer), il risultato di Turing equivale effettivamente al teorema di Gödel. (Vedi alla pagina Logica del tempo).

Turing, tuttavia, pretendeva dimostrare di più di Gödel, cioè l’incompletezza di ogni sistema di calcolo che possa essere simulato dalla macchina di Turing universale. E secondo me c’è felicemente riuscito. Il problema della fermata della macchina (o della macchina che stampa uno zero) è irrisolvibile mediante una macchina qualsiasi. (Cfr. A. M. Turing, On computable numbers, with an application to the Entscheidungsproblem, “Proc. London Math. Soc.” Ser 2-42, 230-265, Received 28 May, 1936. Read 12 November, 1936.)

Non entro in ulteriori dettagli. Rimando al saggio di Martin Davis Recursive Function – An introduction, che inquadra logicamente il problema dal  punto di vista della teoria della computabilità. Davis traccia una scala di indecidibilità. Al gradino più basso esistono gli insiemi ricorsivi, completamente decidibili, per i quali esiste l’algoritmo che decide se un elemento appartiene o non appartiene all’insieme. Un gradino più su sulla scala dell’indecidibilità si trovano gli insiemi ricorsivamente enumerabili, per il quale esiste un algoritmo che genera tutti e soli gli elementi dell’insieme, ma non dice nulla sugli elementi dell’insieme complementare. Al gradino più alto (saltando gli intermedi) si trovano gli insiemi non ricorsivamente enumerabili, come l’aritmetica di Gödel o l’insieme di tutte le macchine di Turing, per i quali esiste un’irriducibile incertezza sia sull’insieme sia sull’insieme complementare.

(En passant segnalo un’acuta osservazione di Martin Davis. In fondo, l’incompletezza è sempre relativa – relativa al sistema in cui la si dimostra, compreso il sistema molto generale di Turing, e finché la si dimostra. Detto in termini filosofici, l’incompletezza è un fatto contingente. Lo si può dimostrare facilmente, per esempio, in S4 di Lewis. Interpretando l’operatore epistemico “dimostrabile” come l’operatore modale “necessario” L, il teorema di Gödel si trascrive: non Lp et non L nonp. Trascrivendo il necessario come  non M non, ossia “impossibile che non”, si ottiene non non M non p et non non M non non p. Eliminando le doppie negazioni, si ha M non p et Mp, che è la definizione moderna di contingente – possibile che sì e possibile che non. Analogo risultato si ottiene partendo dal teorema di Turing (non (Lp vel L nonp)).

Provo a dirlo in altri termini, meno tecnici. Gödel e Turing operano entrambi sull'indecidibilità, ma operano in modi diversi. Gödel opera attraverso il quantificatore esistenziale, Turing attraverso il quantificatore universale. Gödel esibisce almeno un enunciato indecidibile all'interno dell'aritmetica; l'enunciato indecidibile di Gödel asserisce la coerenza dell'aritmetica. (Questo è in realtà un enunciato metaaritmetico, come si è detto, ma in seguito si sono trovati, all'interno della teoria di Ramsey, altri enunciati, propriamente aritmetici, indecidibili.) Turing la prende più alla larga: definisce una classe di macchine di calcolo, e dimosra che è indecidibile in estensione. Cosa vuol dire? Vuol dire che all'interno di quella classe non esiste la macchina che possa "predire" se ogni macchina della classe si fermerà oppure no nei propri calcoli, una volta equipaggiata con i dati iniziali.

Ma queste sono cose note. Cosa si può dire di più e in senso meno tecnico?

Aprendo una pagina su Turing in un sito di psicanalisi, la mia pretesa è di mettere alla prova la piccola proposta che circola in questo sito: la concezione – non metrica, e quindi eventualmente appicabile alla psicanalisi – del meccanicismo come simmetria, con il conseguente distacco della nozione di meccanicismo da quella di determinismo. L'intento che mi guida è di abbattere il determinismo, che regna nella teorizzazione freudiana, per lasciare il passo a teorie meno schematiche e meno rigide di quella freudiana.

Esistono, di fatto, sistemi meccanici (simmetrici) deterministi – i sistemi dei pianeti di Newton – e sistemi meccanici (simmetrici) indeterministi – il lancio di un dado o il comportamento di un fotone quantistico (Questi ultimi godono della simmetria che un evento e il suo contrario hanno probabilità simmetriche rispetto a ½). I sistemi meccanici deterministi e indeterministi hanno in comune certe simmetrie. Cosa si può dire partendo dalla concezione più generale di meccanismo, come quella approntata da Turing?

Cos’è una macchina?

Non essendo filosofo, non saprei dire cos’è l’essenza di una macchina. Da uomo di scienza posso dire cosa fa una macchina.
In prima battuta distinguerei due tipi di macchine: le macchine d’azione e le macchine di controllo. Tra le prime comprendo le macchine che vanno dalla leva di Archimede al motore nucleare dell'astronave e che agiscono sul mondo; tra le seconde le macchine dal telefono al computer, che controllano il mondo. Tra i due tipi di macchine esiste una simmetria intorno allo zero: le prime lavorano con l’entropia positiva, che è una funzione dell’energia, di cui misura l'irreversibilità, le seconde con l’entropia negativa, cioè con l’informazione. Su questa simmetria Schrödinger basò il suo discorso intorno alla vita. Ma bisogna andare più piano.

Nel caso delle macchine d’azione la simmetria è semplice da individuare, almeno finché stanno ferme. La leva di Archimede è in equilibrio quando ha bracci uguali ed è caricata con pesi uguali (la bilancia della giustizia). Quando le macchine d’azione si muovono, le considerazioni di simmetria coinvolgono l’isotropia e l’omogeneità dello spazio-tempo, da trattare con i gruppi di rotazione, traslazione e inversione di Galois.

In effetti, tutte le macchine d’azione “meccaniche” obbediscono a un generalissimo e molto semplice principio di simmetria: il primo teorema della termodinamica di conservazione dell'energia. Esso stabilisce che il flusso di energia in ingresso nella macchina è pari al flusso di energia in uscita dalla macchina.

(Se qualcosa si conserva, a monte c'è una simmetria. Viceversa, per il teorema di Emmy Noether del 1915, se c'è una simmetria ci sono degli invarianti fisici).

In realtà la simmetria-conservazione dell'energia vale anche per le macchine viventi. Il loro metabolismo energetico è regolato in modo tale che l’energia in ingresso è pari all’energia in uscita, a meno che non aumentino di peso, cioè non crescano o non ingrassino.

Ma per le macchine viventi vale anche un’altra simmetria, più debole e più interessante di quella energetica. E questa è la caratteristica che le distingue dalle macchine non viventi. Le macchine viventi si riproducono. Esse sono attraversate da un flusso genetico. Si constata che il flusso genetico, almeno in regime di riproduzione sessuata, non è in esatto pareggio come quello energetico, ma è leggermente in perdita. In media un individuo trasmette il proprio patrimonio genetico, ereditato dai genitori, per metà a 1 figlio, per i ¾ a due figli, per i 7/8 a tre figli, per i 15/16 a quattro figli ecc, secondo una progressione crescente ma limitata, sempre inferiore a 1. La perdita comunque c’è sempre. Per quanto piccola possa essere ridotta - basta aumentare il numero dei figli - non può essere azzerata. È la ragione per cui i cognomi tendono a sparire e la loro variabilità tende a ridursi di molto, se non fossero sistematicamente rimpiazzati da nuovi cognomi. (Qualcosa del genere avviene in biologia con le mutazioni genetiche). La perdita genetica delle macchine viventi è simmetrica all’aumento di entropia delle macchine non viventi (secondo teorema della termodinamica).

E nel caso delle macchine di controllo, cioè – mi viene da dire – delle macchine epistemiche, dove si situa la simmetria? Nelle macchine di controllo, che realizzano una sorta di pensiero o attività epistemica, si realizza una terza forma di simmetria, ancora più debole e ancora più interessante della precedente.
Il pensiero non è un’attività solipsistica. Si pensa solo se c’è l’altro. L’altro è la condizione necessaria, anche se non sufficiente, per il pensiero. L'altro pensiero è simmetrico rispetto al pensiero.

Turing non lo dice così, perché non è filosofo. Non si chiede “cosa significa pensare?”. Ma mette in piedi un test per verificare se c’è del pensiero: il famoso test di Turing.

Ci sono una donna A, un uomo B e un soggetto C, indifferentemente uomo o donna. C interroga A e B e dalle risposte deve decidere – Entscheidungsproblem! – qual è la donna e qual è l’uomo. Il gioco sarebbe banale se la donna non tentasse di ingannare C spacciandosi per uomo, contro il tentativo ingenuo dell’uomo di ristabilire la verità. Il gioco è antico. È ben noto in clinica come gioco dell’isteria. La mossa di Turing è, tuttavia, innovativa. Cosa succede se al posto della donna mettiamo una macchina che imita l’uomo - senza pretendere di ingannarlo, almeno consapevolmente? Riuscirà C a distinguere l’uomo dalla macchina? Se no, vuol dire che la macchina pensa come l’uomo. Il suo pensiero è simmetrico del pensiero umano.

Oggi, che conosciamo i neuroni specchio, è facile pensare al pensiero come imitazione del pensiero dell’altro. Se esistono neuroni che si attivano quando registrano nell’altro l’azione che potremmo fare noi, addirittura il linguaggio – l’onnipotente logos – potrebbe non essere assolutamente primitivo e specifico dell’uomo, ma portato della sua capacità di imitare i gesti dell’altro. (Resta comunque il fatto che la capacità di imitare è superiore nell’uomo rispetto allo scimpanzè).
Ma Turing non sapeva ancora dei neuroni specchio. Convocare l’imitazione fu per lui un’esigenza logica, dettata dalla struttura interna della sua macchina universale. Comunque la si costruisca, infatti, la macchina universale deve contenere una sottomacchina copiatrice, che trasferisce un'immagine di parte di mondo nella propria memoria, dove la rielabora opportunamente. Se la parte di mondo è il programma di un'altra macchina, la macchina universale simulerà il comportamento di tale macchina.

"Meccanismo e scrittura sono dal nostro punto di vista quasi sinonimi" (A. Turing, Macchine calcolatrici e intelligenza (1950), in Id., Intelligenza meccanica, a cura di G. Lolli, Bollati Boringhieri, Torino 1994, p. 151). Incastonata in un inciso, troviamo la tesi principale di Turing sul meccanicismo delle macchine epistemiche. Le quali sono meccaniche perché sanno leggere e scrivere. Sul valore della scrittura come "anima" del meccanicismo, vale la pena ricordare che il concorrente di Turing nella generalizzazione dell'Entscheidungsproblem, Alonzo Church, inventò un calcolo, il cosiddetto lambda-calcolo (A. Church “An Unsolvable Problem of Elementary Number Theory”, American Journal of Mathematics, 58, 1936, 345–363), tuttora utilizzato nelle ricerche di informatica teorica, basato su operazioni di trascrizione di catene di simboli.

E proprio qui, nel processo di trascrizione, si innestano le possibilità della creazione ex novo. La copia può non risultare perfetta. Come nella processo di duplicazione del codice genetico, iscritto nel DNA, le copie del pensiero meccanico possono contenere errori. La simmetria tra originale e copia si rompe. In alcuni casi nascono nuovi organismi, in altri nuovi pensieri, in altri ancora la macchina si rompe o l'organismo muore (mutazione letale). L’ultimo caso è quello più probabile, ma sul lunghissimo periodo dei tempi geologici si realizza un’evoluzione – biologica o epistemica che sia.

Concludo. La tesi di Turing sull’intelligenza è cartesiana. L’intelligenza, essendo meccanica, presuppone l’imperfezione o l’erranza. In particolare, presuppone la rottura di vecchie simmetrie e l'introduzione di nuove, per lo più sterili, in certi casi feconde. L’Entscheidungsproblem doveva necessariamente  avere una risposta negativa, se è vero che gli esseri umani e le loro macchine sono intelligenti, cioè sanno imitarsi a vicenda.

Corollario: se gli uomini sono intelligenti, il loro pensiero è un fatto sociale. Esattamente come i pregiudizi, i pensieri imitativi costituiscono un legame sociale di tipo epistemico, ignoto alle comunità di insetti asessuati. Il pensiero è il pensiero dell'altro. Lo possiamo dire senza scomodare nessuna forma di logocentrismo. E' una verità meccanica, cioè vera per simmetria.

Digressione per i lacaniani.

La formula madre delle simmetrie attive nelle scienze dell'ignoranza è quella qui proposta:

il pensiero è il pensiero dell'altro.

Essa corregge il paradigma RSI di Lacan, mettendo in continuità i due registri che Lacan distinse sin dal 1953 (Discorso di Roma): il simbolico e l'immaginario. Tutta la mia esperienza clinica suggerisce questa saldatura, ponendo l'immaginario sul versante delle simmetrie inerenti al soggetto individuale (l'Io con il suo corredo narcisistico) e il simbolico sul versante delle simmetrie inerenti al soggetto collettivo (il noi, la civiltà, la legge e il senso comune). Per i non lacaniani la mia formula vuol solo dire che il nostro pensiero è essenzialmente incompleto. Se pensi, devi pensare che c'è sempre un pensiero dell'altro, che non hai pensato ancora. Chiamalo inconscio, chiamalo protorimosso, chiamalo archetipo, esso esiste come pensiero a tutti gli effetti.

Il regime di simmetrie individuali e collettive sostiene la serie degli autoinganni delle passioni ontologiche: amore, odio e ignoranza con le rispettive transizioni dall'una all'altra, sia a livello individuale sia collettivo. Se io penso come l'altro, amo e odio l'altro come me stesso e non voglio sapere altro, perché so già cosa pensa l'altro - senza bisogno di ricorrere allp pseudoconcetto di "empatia". L'odioamore che ha alimentato le guerre tra Francia e Germania, dalle guerre di religione alla seconda guerra mondiale, non è diverso dall'odioamore tra partner sessuali alla fine del loro rapporto o tra analista e analizzante all'inizio del loro. L'involucro che rende queste passioni impenetrabili all'analisi è lo stesso sia a livello individuale sia a livello soggettivo: l'ignoranza, l'attivo non voler sapere.

Fine della digressione per lacaniani.

Chi volesse divertirsi ulteriormente può andare alla pagina

Paradigma RSiI

per rinfrescarsi le idee sull'infinito e su come necessariamente l'infinito modifica il paradigma lacaniano.

Per saperne di più sul test di Turing vai alla pagina

Test di Turing.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SAPERE IN ESSERE

SAPERE IN DIVENIRE

Torna alla Home Page